Bisogna porre molta attenzione con la moda: essa è un impasto di vizi e virtù, in sé non ha colpa, non si schiera, piuttosto in quanto specchio dei tempi ci restituisce sempre con fedeltà il nostro modo di esistere, e nella sua apparenza plasma la sostanza delle nostre intenzioni. Può essere una voce soave di sirena che c’incanta con la meraviglia materica delle creazioni: nascondendoci invece una sostanza concreta dolorosa. Può essere un’arma di distrazione di massa: grazie ad opere di storytelling allestite per camuffare con racconti tutte rose e fiori l’aridità spoglia del terreno che invece sta alla base di dinamiche silenti e striscianti. La moda in sé è uno straordinario mondo complesso che ingaggia, e mai intacca, una risorsa preziosa: la responsabilità che abbiamo di dirigere la nostra attenzione, la possibilità che ci diamo di allenare la determinazione a rompere l’incantesimo e incontrare la verità dei suoi vizi. Il premio sarà la consapevolezza: la bussola per orientarci sulla strada da percorrere per migliorare noi e questo nostro mondo anche attraverso le sue virtù.
Bisogna, perciò, dar fiducia alla moda quando si offre come strumento di conoscenza di problemi sociali di enorme importanza, e come occasione di militanza per affrontarli anche grazie alla bellezza creativa. Uno fra tutti: la discriminazione di matrice razzista.

In questo nostro caso l’occasione si chiama MAX+min: brand emergente americano che la giovane Tiarra Smallwood ha fondato per dar vita alla bellezza particolare delle sue borse, e insieme per dar voce potente alla lotta sua, e collettiva, contro lo stigma gravemente radicato nella fashion industry nei confronti delle persone di colore.
Che entrare e prosperare concretamente nel mondo della moda non fosse cosa facile lo sappiamo bene: ciò che invece si tende a non sapere, se si ha il privilegio di non preoccuparsene in prima persona, è quanto questa difficoltà aumenti esponenzialmente quando ad aspirare a lavorare legittimamente nel fashion world siano persone con tutte le carte di competenza e talento in regola, ma con la pecca, secondo vecchie strutture che ancora si reggono sui pregiudizi, di avere la pelle nera. Nel loro caso le opportunità diminuiscono drasticamente: lo testimoniano i numeri, che dimostrano l’assenza di una rappresentanza adeguata nell’organico delle aziende e delle istituzioni.
Lo testimonia, in questo nostro caso, il percorso determinato di Tiarra Smallwood: che per realizzare il suo progetto di un brand di fashion luxury indipendente ha dovuto attraversare rifiuti e limitazioni per via delle discriminazioni.
Nata in Ohio e oggi basata a New York, Tiarra Smallwood la moda l’ha incontrata nell’infanzia come piacevolezza giocosa dello shopping in compagnia della mamma, e man mano l’ha maturata nel gusto personale e nel mestiere del fashion design: dopo la laurea alla nota Kent State University School of Fashion, Tiarra è stata per alcuni anni Accessories Designer per Abercrombie & Fitch, passando poi da The Gap.
L’esperienza intensa in marchi così grandi ha disciplinato la sua pratica, e nel frattempo ha nutrito il desiderio a fondare una realtà tutta sua nella moda di lusso: che nei prodotti potesse condensare la libertà creativa, e nella gestione potesse concentrare le intenzioni imprenditoriali.

MAX+min: nuove sono le borse di design minimal e massima cura, forte è la voce di Tiarra Smallwood che lotta contro lo stigma razzista

MAX+min nasce nel 2019: le dichiarazioni d’intenti creativi di Tiarra sono già nel nome con cui battezza il brand. “MAX” come massima è la dedizione a curare tutti i dettagli che disegnano l’identità delle sue borse, “min” come minimalista è l’ispirazione per il design intrigante con cui studia le forme pure: il risultato sono borse di qualità altissima, realizzate in pelle, proposte in una palette sintetica ed elegante, decorate con pochissimi elementi tra cui le barre metalliche dorate raffinate che le caratterizzano, declinate in una serie di dimensioni breve ma perfetta, dal borsone maxi alla versione asciutta della tote intermedia, fino al modello Meru Micro, la più piccola eppur la più versatile, che come le altre è dotata di cinghie staccabili così che possa essere indossata in vari modi, finanche allacciata in vita come un marsupio ma decisamente più chic.
L’aspirazione minimalista abbraccia anche la gestione del guardaroba: le borse sono pensate per oltrepassare le stagioni e restare intatte nel desiderio e nel tempo, così da non creare accumuli consumistici.
MAX+min continua ancora oggi a crescere: nel frattempo ha raggiunto negozi come Saks Fifth Avenue. E a prosperare grazie alla sua identità, e alla sensibilità che dall’America in rivolta dopo la morte di George Floyd ha percorso il mondo e stimolato le coscienze a porsi la domanda fondamentale che è diventata anche un movimento esistenziale: do black lives matter? La risposta è e sempre sarà: sì.
La dimostrazione è il supporto sociale della comunità Black Lives Matter (BLM) che si è tradotto anche nel supporto economico della Harlem Fashion Row che, allacciato alle iniziative di CFDA e Vogue, ha disposto un fondo dedicato ai business moda di designer BIPOC (Black, Indigenous, People of Color) messi in crisi dalla pandemia: tra cui, a giovarne, è stato anche MAX+min.