A pronunciare la parola “sostenibilità” nella moda ci vuole giusto il tempo di un afflato veloce di voce: a sbandierarla nei canali fashion per raccogliere consensi facili ci vuol solo una rapida dose d’incoscienza.
A prendere la parola sostenibilità, ripulirla dalla superficialità della conversazione trendy per arrivare al nocciolo concreto della questione pratica, farla diventare prima materia di studio accurato e lungimirante, poi una realtà imprenditoriale che insieme ai capi d’abbigliamento allaccia una visione per costruire soluzioni virtuose ai problemi del settore tessile, all’ecosistema globale e alla filiera produttiva nazionale: ecco, per questo ci vogliono il giusto tempo per maturare competenze consapevoli, sperimentare le esperienze pratiche e allestire una rete di collaborazioni fondamentali.
Insieme alla passione che sprona a proseguire su un percorso che si sta costruendo con la fatica e il coraggio propositivo della giovinezza, e alla fiducia nella solidità dei risultati. Questo, infatti, è il percorso che sta costruendo, con determinazione forte e generosa voglia di condivisione, il giovane brand italiano Zerobarracento: o meglio, le persone che innanzitutto il marchio lo vivono e lo muovono, ovvero la fondatrice e designer Camilla Carrara, insieme al suo team.

Prima di conoscere la storia di Zerobarracento, breve perché giovane ma densa di sostanza, è giusto conoscere il significato del nome, che a decodificarlo rivela già gli ingredienti della dichiarazione d’intenti sostenibili: “zero” sono gli sprechi, ridotti all’osso sin dalla produzione fino alla percezione, quindi dai metodi di lavorazione dei materiali alle scelte legate al prodotto e al cliente finale; “cento” è la totalità, quella della sostenibilità che guida l’intera filosofia, quella dell’italianità della filiera produttiva, quella della circolarità del ciclo di vita dei capi che orienta ogni dettaglio delle scelte di progettazione e promozione.
La storia di Zerobarracento inizia da zero, letteralmente, da quando Camilla Carrara durante la tesi in fashion design al Politecnico di Milano inizia ad esplorare la sostenibilità come conseguenza del suo brillante spirito d’osservazione: “perché mi è sempre piaciuto visitare le aziende tessili, e mi ero resa conto che effettivamente anche le aziende più avanzate, quelle premium, avevano una grande quantità di scarti nella produzione, quindi mi è venuta l’idea di ottimizzare tutto il processo di produzione, sia a livello tessile che di abbigliamento”. Perciò prosegue la formazione a Berlino, con un master annuale dedicato alla sostenibilità della moda, ed è qui che scopre il metodo che diventerà il pilastro di Zerobarracento: ovvero, lo Zero Waste, una tecnica di confezione poco usata ma molto virtuosa, che permette di creare una sorta di puzzle con i pezzi che vanno a comporre il capo posizionandoli sul cartamodello in un incastro che copre tutta l’altezza del tessuto, così da non avere sprechi, e risparmiare dal 15% di materia in su. Berlino è la città dove nasce il brand con la prima collezione, supportata proprio da una grande azienda tedesca che opera nell’abbigliamento sostenibile con la tecnica dello zero waste: gli ottimi risultati motivano Camilla a proseguire con le sue forze, e con le forze della filiera italiana, quindi in sinergia con le aziende dei distretti dell’eccellenza tessile, dove la grande qualità e la trasparenza sono valori fondamentali e solidi. E dove grazie a lei oggi entra, spesso per la prima volta, l’innovazione sostenibile del metodo “Zero Waste”: con tutto l’impegno necessario a farne attecchire la portata rivoluzionaria, che mentre aggiorna la tradizione storica fornisce un ampio ventaglio di benefici per il presente e il futuro.

Zerobarracento a/i 2020: il giovane brand italiano crea capispalla no gender con zero sprechi e 100% sostenibilità made in Italy trasparente

La nascita di Zerobarracento accadeva nel 2016: oggi nella collezione a/i 2020 c’è condensato tutto il bello e il buono che Camilla ha continuato a costruire e a progettare con la sostenibilità, crescendo con le sinergie, conoscendo con la sperimentazione, approfondendo con la ricerca. Ovvero, concretizzando sempre più nel dettaglio la filosofia dello zero e del cento.
Zero sprechi di intenzioni, è per questo che il core business di Zerobarracento è incentrato solo sui capispalla, perché così nel tempo è stato confermato dall’approvazione entusiasta dei clienti, gli stessi che hanno ispirato anche la scelta di non avere gender, inaugurata con questa collezione, dal momento che giacche e cappotti già nati lineari e oversize per donne sono amati e voluti anche dagli uomini, e l’assenza di qualsiasi accessorio -bottoni, cerniere, ganci- fa sì che basti qualche piccola modifica strategica alle chiusure per rendere ogni capo ideale per chiunque.
Cento per cento italianità, sostenibilità e circolarità: come sempre, anche in questa collezione i capi sono mono-materiali, perché evitare le mischie permette un riciclo più semplice alla fine del ciclo di vita, i tessuti provengono dalla filiera nazionale e sfoggiano tutte le certificazioni necessarie. Nel dettaglio, due sono i materiali per l’esterno: uno è la lana Re.Verso che viene dal distretto di Prato, dove cinque aziende concorrono a svilupparla, dalla raccolta dei ritagli pre-consumo della sala taglio al sorting ancora effettuato a mano, al processo meccanico che trasforma il tutto in nuova fibra, con la certificazione l.c.a. che riporta nel dettaglio le quantità in termini di risparmio di risorse; l’altro è una lana organica, certificata g.o.t.s., del Lanificio Zignone, del distretto di Biella; infine c’è la fodera, sempre dello stesso punto di blu per essere riconoscibile, sempre realizzata in cupro, fibra proveniente dai linter di cotone, ovvero la peluria che circonda il seme del cotone, delicata come la seta, ma vegana e naturalmente certificata.
Infine c’è l’ispirazione artistica, che s’incastona dentro tanta virtuosa razionalità a portare la suggestione di nomi come Burri e Fontana, maestri dell’alchimia tra la profondità del pensiero e la ricerca vigorosa degli effetti sorprendenti che la manipolazione della materia può riservare al tatto, e da lì all’occhio e al desiderio: sono loro a supportare la ricerca costante ed essenziale dei tessuti.
La materia prima: da cui tutto inizia e a cui tutto torna, mentre nel mezzo si trasforma, e, si spera, trasformi anche il pensiero dei produttori e dei consumatori che oggi più che mai sono invitati a riflettere sulle proprie scelte, e su quelle che si riveleranno le migliori da compiere.