Ci sono storie che te le devi sentire sulla pelle e poi giù, che scivolano giù, fin dentro quello scrigno sconosciuto che custodisce i nostri segreti così impalpabili perché fatti di emozioni, memorie, vissuti, intenzioni: sono storie che devi sentirtele attecchire dentro con le loro radici, devi lasciare che s’innestino con onestà alla tua natura, per poi farle sbocciare fuori in un racconto autentico narrato dagli abiti, scritto col linguaggio di stoffe plasmate con mani pregevoli, e lavorazioni così ricche eppur sottili che la pelle la decorano mentre la accarezzano. Insieme all’animo.
Sono storie che, a raccontarle attraverso la voce della bellezza delle creazioni, insieme alla sensibilità generosa richiedono la responsabilità di un gesto di coraggiosa delicatezza: perché sotto la superficie incantevole della sofisticatezza sartoriale custodiscono la sostanza importante di un messaggio sociale potente, rivolto a scardinare il sistema opprimente.
Quest’intensa introduzione è necessaria a supportare la sensazione che balza immediata agli occhi e al cuore all’incontro con la collezione p/e 2021 di Mario Dice: una sfilata sincera di abiti che ha anche il valore di una dichiarazione d’intenti.
Un’alchimia che inizia sin dall’ispirazione: Marsha P. Johnson.

Nessuna retorica facile, tutt’altro, sta nella celebrazione consapevole di Marsha P.. Johnson: colei che nacque Malcolm Michaels e sin dalla tenera età iniziò la battaglia per la libertà di sentirsi altro da quello che era agli occhi altrui, colei che storicamente appartiene alle lotte di ostinata disperazione per i diritti della comunità LGBTQ+ di quell’America degli anni ’60 e ’70 altrettanto dannatamente determinata a reprimerli, e per i diritti di quelle come lei, gay con la pelle nera e infilata in abiti femminili, che le rendevano ancor più difficile la vita in quel giochino perverso che innescano gli stereotipi persino dentro le comunità che ne sono vittima. Marsha, che indossò la maschera della drag queen per strappare quel tanto di riconoscibilità utile a sopravvivere, e in quelle vesti venne persino fotografata da Andy Warhol, ma che a quella P. che sta per “pay it no mind”, cioè “non importa”, affida non solo la risposta a chi le chiedeva in quale gender s’identificasse, ma anche il cuore pulsante della sua battaglia da attivista e rivoluzionaria: il diritto alla libertà da qualsiasi etichetta, il diritto a scardinare il potere schiacciante del sistema e scioglierne i vincoli subdoli del conformismo.
Eccola l’essenza dell’affinità di Mario Dice con l’ispirazione per la sua collezione: la volontà di dar nuova voce all’intenzione che è già nel brand che ha il suo stesso nome, e perciò la sua stessa visione, ovvero la necessità di ribellarsi al sistema, disobbedire alle regole stringenti che soffocano la vera espressione creativa, sfidare la rigidità ottusa della struttura chiusa per spalancare i varchi alla libertà. La libertà salvifica per i designer di poter abbracciare la propria personalità ed esprimere la propria arte con passione e dedizione al di là di ogni costrizione.
Insieme agli ideali che spingono l’azione, c’è persino la “p” a fare da congiunzione: per Mario dice è quella del prêt-à-porter che per la prima volta prende posto nella presentazione.
Perché le rivolte si costruiscono nella vita quotidiana alla luce del giorno, non solo nello sfavillìo elegante della sera.

Mario Dice: la p/e 21è un inno alla libertà di espressione creativa, con Marsha P. Johnson come ispirazione e il prêt-à-porter nella couture

Nella collezione s/s 2021 Mario Dice allestisce la sua rivolta con la sincerità del suo talento: ovvero, col sentimento della couture, che infila l’attenzione premurosa nei sottili meandri dei dettagli per tirarne fuori la forza e farli brillare in superficie con la maestria sartoriale e l’esuberanza creativa fuse assieme, e al contempo con la sensibilità responsabile della concretezza, dimostrata attraverso l’uso anticonvenzionale dei tessuti con cui perpetra lo stravolgimento delle aspettative. E stupisce.
Sembra un’operazione mirata alla meraviglia come il canvas, il denim, il lino e il cotone vengono mantenuti allo stato così grezzo da essere persino sfrangiati ai bordi, e allo stesso tempo possono essere impreziositi dai pizzi sangallo e dai ricami così lievi da apparire come tatuaggi sulla pelle nuda.
È davvero un’operazione di disobbedienza sistematica ed entusiasta il modo in cui le stampe 3d disegnano le effigi della fierezza sullo chemisier e sulla gonna dalla semplicità pratica, e, all’inverso, come un paio di jeans prelevati da un guardaroba operaio con tanto di tascone funzionali abbiano l’orlo plasmato a mò di petali: con la stessa attitudine, i colori s’infilano nella nettezza del bianco a creare scacchi di contrasti, la seta habutai sovverte l’identità classica e fluttua tinta di colori vibranti, il denim diviene materia prima di volumi eleganti, le camicie diventano capolavori di minuzia artigiana e scomposizioni, con strisce di plissé che fendono aperture per le braccia e maniche che si gonfiano importanti eppur sorrette da pizzi e passamanerie sottili.
“Potrò essere pazza, ma questo non mi rende sbagliata” difendeva col dolore e col sorriso Marsha P. Johnson.
Si può creare in armonia con se stessi, ma questo non renderà le creazioni meno valide per la moda: anzi, ci sarà ancor più forza nella bellezza.
Bravò, Mario Dice!