C’è la poesia della purezza leggera eppur concreta nella moda di Daniele Calcaterra. 
Il suo è un linguaggio di stile sartoriale squisitamente personale e allo stesso tempo generoso: il suo è il gesto di un couturier italiano che opera con la morbidezza rigorosa della rinuncia agli orpelli per far brillare il bello riposto nell’essenziale delle forme e delle idee. 
Ogni collezione regala una visione piacevolissima, una conferma confortante e allo stesso tempo coraggiosa: sin dagli esordi professionali, accaduti vari anni or sono di esperienza preziosa, la sua devozione alla moda è infatti sempre una dichiarazione d’intenti virtuosa che ha che fare con la sostanza del mestiere, anziché con la volatilità vanitosa dell’apparenza. 
Con la sua moda, Daniele Calcaterra dichiara la fiducia nell’eccellenza tipicamente italiana di ogni azione che compone la creazione, dalla qualità altissima dei materiali che guidano la concezione dei capi a quella altrettanto perfetta della sapienza che ne rende possibile la realizzazione. Dall’amore per la cultura che suggerisce l’ispirazione, alla convinzione entusiasta riposta nel valore della bellezza che non sfida il tempo: ma lo accompagna nel suo scorrere senza sfiorire mai, perché frutto di quell’autenticità che la rende davvero timeless, ma sempre perfettamente calata nella contemporaneità. E quest’alchimia accade nuovamente e felicemente con la collezione a/i 2020-21. Il titolo che la battezza è già a suo modo preludio di ricercatezza: “What inspires you?” 

Prima di fornire la risposta attraverso il carosello di capi e accessori affascinanti, Daniele Calcaterra ci fornisce l’indizio su cui si è inerpicata la sua ispirazione per compiere il percorso di creazione: spiazzante e salvifico, come il messaggio stesso della collezione.
Il riferimento ha infatti la stessa sofisticatezza di sostanza della sua moda: l’opera 4’33’’con cui il genio sperimentale di John Cage rivoluzionò il concetto di musica facendo suonare il suo opposto, il silenzio. Era il 1948 quando Cage parlò solo di un ipotesi, un’ispirazione “di comporre un brano di ininterrotto silenzio. Sarà lungo tre minuti o quattro minuti e mezzo, dato che queste sono le durate standard della musica preregistrata, e s’intitolerà Silent Prayer. Inizierà con una singola idea che cercherò di rendere tanto seducente quanto il colore e la forma o la fragranza di un fiore”. Era il 1952 quando l’opera fu performata per la prima volta da David Tudor a New York davanti ad un pubblico che da un musicista e il suo pianoforte si aspettava di ascoltare una sinfonia di note, e invece si trovò immerso in un silenzio in tre atti. Ed è proprio John Cage ad illustrare il grande inganno del silenzio musicale e la rivelazione della verità in “Silenzio”, il suo libro cult del 1961: “la musica è in primo luogo nel mondo che ci circonda, in una macchina per scrivere, o nel battito del cuore, e soprattutto nei silenzi. Dovunque ci troviamo, quello che sentiamo è sempre rumore. Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina”. Or dunque, è ascoltando il silenzio che si scopre la presenza, la bellezza peculiare, dell’essenziale.
Ecco, Daniele Calcaterra con la collezione a/i 2020-21 fa sua l’intenzione che a suo tempo solleticò l’intuizione di John Cage: ha iniziato con una singola idea, ovvero la rinuncia alla seduzione degli orpelli inutili in favore della semplificazione, e l’ha resa seducente. 

Daniele Calcaterra a/i 20-21: se ascolti il silenzio dell’inutile scopri il bello che brilla nell’essenza eccellente del talento sartoriale

“Basico irrazionale”, così Daniele Calcaterra definisce la sua opera, come fosse un percorso di meditazione concreta: l’esercizio sartoriale va dritto a plasmare i volumi e le forme, a scolpire le spalle volitive dei capispalla come nei ‘90s, ad amplificare l’ampiezza dei cappotti che si allargano come mantelle o ad asciugarla come fossero vestaglie, ad equilibrare l’oversize casual con l’appiombo elegante, ad appaiare con i jeans ampi e sdruciti ad arte il cappotto cammello con i baveri affilati o la giacca che sfoggia uno dei rari decori consentiti assieme alle piume, cioè le frange, a disegnare la fluidità dei completi dove la lavorazione delle bordature cieche rendono gonne e pantaloni leggerissimi come coperte, tanto agili da poter essere infilati negli stivali. Basico irrazionale perché il minimalismo, quando non è esasperato, ma esercitato con consapevolezza, dimostra che ci si può avvolgere in un ampio cappotto dai bellissimi intarsi geometrici anni ’20, e nel frattempo ci si può infilare nel rigore affascinante di un abito nero che pare appoggiato per caso sul corpo, invece è un piccolo capolavoro di dote di sintesi sartoriale come la palette. Naturalissima, e per questo conferma di ricercatezza purificata.
Or dunque, niente ostentazione di ascetismi frutto di complessi percorsi concettuali, bensì una risposta moderna alla necessità di lasciar andare il superfluo per ritrovare il godimento di vestirsi della sofisticatezza che proviene dalla sostanza sartoriale maneggiata con cura e passione, con la competenza affinata delle tecniche sartoriali allacciata alla sperimentazione curiosa di materiali pregiati e al rispetto profondo della bellezza femminile. Bravò Daniele Calcaterra!