“Una collezione smaccatamente emotiva, vertiginosa come l’innamoramento. Un tributo al romanticismo, all’eccesso, ai sogni. C’è qualcosa di più urgente oggi, che sognare in grande? Di sognare un mondo migliore? Di afferrare ogni pezzo di bellezza con entrambe le mani?”
Si potrebbero scegliere varie vie d’accesso per inoltrarsi nella collezione Schiaparelli haute couture a/i 2021-22, eppure nessuna riuscirebbe ad aprirci un varco sciogliendo l’intrico affascinante della matassa d’intenti autentici e omaggi d’ispirazioni, guizzi immaginifici e delicate riflessioni, narrazioni sorprendenti incastonate in decorazioni travolgenti, come le parole spontanee del suo autore: Daniel Roseberry.
Scoprire la collezione “The Matador” è infatti occasione d’incontro con una visione di bellezza che passa per la ribellione alla bellezza stessa, affronta l’azzardo sbrigliandone la potenza di fascinazione, si tuffa negli abissi dell’amore per la couture e torna in superficie con un messaggio non in bottiglia, ma in opere di stoffa mirabolanti e turbinii di decori stupefacenti.
Messaggio che Daniel Roseberry indirizza alla nostra vita reale, portandoci però in viaggio attraverso una dimensione immersa nel surreale: nel senso più letteralmente artistico, ma anche più ardentemente libero del termine. Facile! si penserà: la maison Schiaparelli ha il surrealismo nel dna. Ed è qui che si spalanca il bello oltre il facile sospetto: non c’è imitazione volta a traslocare nell’oggi la storica tradizione della fondatrice, non c’è sottomissione al mito di Elsa Schiaparelli per non intaccare l’icona.
Bensì c’è la consapevolezza dell’affinità elettiva, che consente a Daniel Roseberry di comprendere a fondo quanto basta la forza immortale dell’opera di Schiap, e allo stesso tempo di innestare la sua per far rifiorire una nuova unicità: outsider lei un secolo fa che ha travolto la moda con la spericolatezza della fantasia immaginifica e della coralità artistica, outsider lui da quattro stagioni, che dal Texas delle origini alla New York della formazione, insieme a dieci anni d’esperienza sartoriale visionaria al fianco di Thom Browne, ravviva in Schiaparelli la potenza dell’arte dell’haute couture partendo dalla sua essenza primigenia. Ovvero l’energia rigeneratrice del sogno, soprattutto nei tempi bui: che nell’eccellenza sartoriale diventa uno spettacolo da indossare.

“Ecco cosa voglio: Basta con la moda fatta con lo stampino. Niente più pezzi che sembrano essere stati fatti da chiunque. Niente più cinismo. Niente più ironia. Niente più timidezza. Basta con la freddezza. Datemi più bellezza, più serietà, più romanticismo, più impegno.”
La collezione è una dichiarazione di libertà: di omaggiare gli stilemi di Elsa Schiaparelli sempre riconoscibili perché imprescindibili, certo, ma di farlo plasmando la materia dell’alta moda e dell’alta gioielleria sulla fiducia che Daniel Roseberry ripone nel far tornare in circolo le emozioni. In un periodo storico in cui i nostri animi sono stati prosciugati fin quasi a divenire asettici, la bellezza può scuoterci se assume forme e dimensioni sorprendenti, eccentriche, giganti, provocanti. Ma pur sempre, innegabilmente, eleganti.
“The Matador” è scandita da tre temi, come fosse un’opera teatrale in tre atti: nel canovaccio d’ispirazione dichiarata si mescolano l’arte di Monet ed Ingres, la sensibilità di Lacroix e un po’ di anni ’80 del 1900 rintracciabili in Galliano, ma anche un po’ di 1880, un po’ di alieno spaziale, il luccichio, il colore. E ça va sans dire, il torero: che introduce la serie delle giacche e con loro gli omaggi attuali a quelle che Schiaparelli inventò allora, nelle silhouette iconiche ora con le maniche che si rigonfiano a botte, nei campioni autentici Schiaparelli vintage a comporne una nuova, nei guizzi geniali ad assemblare denim vintage per la giubba in jeans, a fare un patchwork di pelle vintage per il coat corto. Nella meraviglia: delle rose che sbocciano ricamate in taffetà rosa ricadendo dalle spalle tonde giù fino al polso rievocando l’iconico cappotto da sera di quel 1937 in cui il genio di lei si unì a quello di Jean Cocteau. Nello stupore delle lavorazioni finissime che ricalcano tecniche e materiali originali: fili, perline, pietre, rilievi a creare volute, riccioli, reti e intrecci dai bagliori sempre dorati che percorrono fitti tutte le superfici, o in alternativa che si stagliano neri nel modello in bianco. Nell’incanto assoluto dei luccichii che tempestano la giacca dal profilo di doppia colomba: dove i cristalli provengono da chandelier vintage originali, dunque unici.

Schiaparelli haute couture a/i 21-22: la fantasia fa tornare in circolo le emozioni con forme sorprendenti, eccentriche, giganti, eleganti

L’altro a chiamarlo tema sarebbe quasi un gesto riduttivo: perché i bijoux hanno vita propria, non sono tocchi finali applicati per decorare, ma nascono insieme agli abiti, si posano sul corpo per vestirlo al posto del tessuto, giganteggiano distribuendo citazioni di parti anatomiche in modo disobbediente all’ordine biologico, sfavillano con la determinazione a scioccare, ma anche con la gentilezza di abbellire. Hanno la forma ipnotica dei seni metallici che svettano in spire sulle giacche e che plasmano il torso a mo’ di corpino che brilla tra le frange in vinile tagliate dai sacchi della spazzatura e intrecciate con fili di seta, hanno la tonicità degli addominali argentei racchiusi nella cornice rococò della cintura, sbocciano a corolle sulla pelle della giacca e fioriscono sulla pelle nuda appaiati alla gonna nera, lasciano che sia una rosa enorme a sorreggere l’abito lieve, rianimano il respiro a foggia finissima e delicatissima di polmoni dorati appoggiati sull’abito aperto a finestra sul petto. Si trasformano in calchi di orecchie, mani, denti, bocche che richiamano Dalì, occhi di ceramica, nasi a loro volta decorati di piercing, crescono esagerati, s’impreziosiscono di perle e cristalli, si assemblano a formare croci da appendere alle orecchie, e top da appaiare ai jeans come un’armatura fantasiosa.
O ancora, s’insinuano nella struttura dell’abito e avviano la metamorfosi, trasformando lo scollo sensuale nella forza delle corna di ariete e di gazzella.
Infine la celebrazione del colore: pochi toni ma intensi, che scandiscono il nero drammatico e il tessuto dal bagliore metallico piegato a mano a profilare l’abito come un vero colpo di scena. Hanno nomi poetici: blu rinascimentale, blu fiordaliso, rosa salmone, arancia terracotta. Hanno l’energia croccante della gonna che spumeggia dal corpino appuntito, la morbidezza spumosa dell’abito bubble color malva, la sorpresa esplosiva dello strascico arancione come le labbra della scollatura, la nuvola di sogno bianco latteo dell’abito da sposa col corpino ricamato di specchietti modellati e dipinti a mano.
“Spero che questa collezione ricordi a tutti coloro che la incontrano la pura gioia che la moda può portarci in tempi difficili e con essa, la promessa di più gioia come quando le nuvole si separano. Datemi più moda. Datemi più speranza.” E che gioia speranzosa del sogno couture sia.