Basterebbe già il titolo della collezione a solleticare la curiosità sincera: una parola sola che porta con sé un principio di valore che oggi si rivela più prezioso dell’oro, ma che al contempo finisce fin troppo spesso per essere sottoposto al processo infido della mercificazione che tutto ingloba, persino le più intime necessità emotive.
Battezzare “Optimist”una collezione dedicata alla stagione fredda del prossimo anno, da parte di un brand giovane, Dalpaos, che nel nome ricalca quello del suo altrettanto giovane fondatore e anima creativa, Nicola D’Alpaos, dunque, suona come una dichiarazione d’intenti positivi: un gesto di coraggio in questo momento storico intessuto di presagi negativi, un atto di lucidità costruttiva di cui, ammettiamolo, abbiamo davvero bisogno, e che per questo merita un’accoglienza entusiasta, vasta ed attenta.
O meglio, continua a meritare, dato che Dalpaos ha già agganciato meritevolmente l’attenzione del fashion world da qualche anno di collezioni tutte felicemente allacciate dal filo rosso della coerenza profonda che anima l’identità brillantemente autonoma, consapevolmente etica e sostenibile, creativamente libera del brand, e che di recente ha incrementato con la conquista della nomina di finalista al contest Who’s On Next? 2020, menzione pregiata che spalanca il sipario sulla nuova a/i 2021-22 presentata alla Milano Fashion Week maschile con un docufilm, e portata in passerella all’appena trascorsa edizione di Altaroma: Optimist.
Come accennato, la collezione sublima e suggella l’essenza che è alla base fondante e al cuore pulsante del brand Dalpaos, e di conseguenza, come in un perfetto sistema di vasi comunicanti, anche nella filosofia di pensiero e di vita di Nicola D’Alpaos: la libertà di compiere scelte che liberano dal giogo della nostra attualità accelerata dalla fretta consumistica e frenetica, incastrata in gabbie di stereotipi estetici e sovrapproduzioni materiali, spaccata nella lotta tra industria e natura, spinta alla polarizzazione di concetti e pratiche vincolanti.
Ecco, il brand Dalpaos, fin dagli esordi nel 2008, è nato, cresciuto ed evoluto allenandosi nella palestra dell’esperienza diretta e nella consapevolezza di scelte ben definite: nel background di Nicola D’Alpaos non c’è una formazione accademica in moda ma c’è l’apprendimento sul campo lavorativo, non c’è la resa all’omologazione, ma c’è l’ispirazione a creare un progetto che fosse a suo modo diverso e che conciliasse la sua attrazione profonda per gli opposti, l’intenzione a far coesistere il fare industriale con il fare artigianale italiano, la determinazione etica consapevole ad usare solo materiali sostenibili e fibre naturali, il fascino per la creatività artistica e la necessità dell’indossabilità pratica che, ça va sans dire, non contempla nessuna distinzione di gender. Ogni abito di Dalpaos è infatti pensato e progettato per farci abitare dentro un corpo, qualsiasi esso sia, in qualsiasi occasione voglia.
Lo slancio positivo e costruttivo in Optimist inizia nell’ispirazione: nessuna riflessione sui massimi sistemi, ma la concretezza di scrutare la bellezza in qualsiasi cosa ci circondi e di tirarla fuori anche da ciò in cui meno te l’aspetti: come le piante velenose e droganti, ad esempio, prediligendo il valore estetico del loro aspetto al pregiudizio dell’uso distruttivo. Un’ispirazione che suona di sana provocazione ironica e concreta coerenza biografica: Nicola D’Alpaos è nato a Belluno, e tuttora torna costantemente a frequentare gli ambienti di collina e montagna dei suoi luoghi d’origine, dove il verde e l’aria pulita detossinano l’animo e il corpo, mentre la natura è passione e contamina la creazione.
Dalpaos a/i 21-22, Optimist: la chiave positiva è la naturalezza di scelte sostenibili, l’onestà creativa e no gender dello stile, e l’ironia
L’idea iniziale alla base della f/w 21-22 è dunque una sorta di gita fuori porta di un gruppetto di persone molto diverse tra loro che, prese dalla città vengono portate in mezzo alla natura, per uscire dalla quotidianità frenetica metropolitana e ritrovarsi, ma anche trovare qualcosa di nuovo. Dal lifestyle di città portano le linee di stile urbano con accenni streetstyle che rinnovano e rinvigoriscono i capi classici: i capispalla che saltano all’occhio per la presenza importante, soprattutto i pochi cappotti del tutto diversi ma accomunati dall’ampiezza comoda calibrata dalla nettezza sartoriale, qualità che plasma anche il resto delle giacche, da quelle più snelle con guizzo elegante alla versione spiccatamente over fino al bomber pragmatico. I pantaloni dalla linea dritta e dal finale che qui si stringe e là scampana, si appaiano a camicie e gilet e a formare completi di derivazione workwear: ovunque compaiono le grandi tasche tridimensionali come fossero frutto di un’opera di origami tessile che rende pratico l’estetico. Mentre l’artistico si rende pop: qua e là, come nel sottobosco, spuntano funghetti decorativi, e allucinogeni, per questo hanno le tinte brillanti!
La qualità elevata e la sostenibilità dichiarata provengono dall’artigianalità applicata all’etica dei materiali: è frutto dell’opera eccellente artigiana la maglieria ai ferri e quella calata, i maglioni girocollo, i guanti bicolor, i dettagli fatti all’uncinetto e i ricami fatti con tecniche moderne ed innovative; son frutto di guizzo artistico sostenibile i pattern decorativi, i funghetti pop che spuntano sulle felpe e finiscono anche sulla martingala del cappotto, sono stati disegnati a mano, dipinti con acquerelli e poi digitalizzati; son risultato di un’instancabile ricerca sostenibile i materiali che provengono da deadstock, dal riciclo e, come nel caso della pelle delle piccole borse, dal recupero di avanzi di lavorazioni lussuose.
Ovunque compaiono anche i cuori sagomati di ispirazione origami: comparsi per la prima volta nella scorsa collezione estiva, qui tornano celebrati a rango di simbolo iconico del brand, e accompagnano come fossero un filo conduttore narratore, dentro la trama del docufilm “Dalpaos Witch Project” che ha presentato la collezione alla Milano Fashion Week: titolo eloquente che ricalca con equilibrio di rispetto e libertà quel film pietra miliare dell’horror anni ’90, trama che mette in scena tutte le buone intenzioni della collezione, dall’ambiente naturale originale della biografia di Dalpaos, foresta del Cansiglio in Alpago, alla provocazione salvifica di trovarsi di fronte a interrogativi destabilizzanti: cosa è reale e cosa non lo è? cosa c’entrano le piante allucinogene? ma alla fine è mai successo? e se la leggenda esistesse davvero? Ecco: e se la leggenda ottimista di una moda più originale e sostenibile esistesse davvero?
Silvia Scorcella
Fashion and culture Writer Freelance, marchigiana d’origine e globetrotter d’adozione.
Ha intrecciato un percorso eterogeneo che mescola una Laurea in Lingue Straniere Arti e Cultura, un Diploma in Giornalismo di Moda all’Accademia di Costume e Moda di Roma e una Laurea Specialistica in Moda.
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