Ci sono collezioni che fungono da fulgida dimostrazione del fatto che nel rumoroso dibattito in cui i due principali schieramenti di pensiero si scontrano sulla presunta vera natura e utilità della moda, sostenendo l’uno che la moda abbia una mera finalità commerciale e l’altro che essa sia prodotto e produttrice di puro valore culturale, ecco: ci sono collezioni, a loro volta esito di solide intenzioni, che su quell’asse di dibattito scivolano con disinvoltura, provando felicemente che il commercio non esclude la cultura, e anzi, che nel momento in cui l’abbraccia con intelligenza e fiducia, la moda può divenire un prezioso strumento d’integrazione, e una sorprendente fonte di esplorazione.
HUI poggia proprio su questo pilastro, la passione per la cultura come guida per l’animo umano, l’atto creativo e il processo produttivo, insieme al bene collettivo, passione che appartiene alla fondatrice del brand nel quale, assieme alla sua identità biografica, ha messo anche parte del nome: Zhao Huizhou.

L’importanza dell’incontro è, infatti, la bussola interiore che la guida, sin dall’inizio: il suo amore per l’arte che si unisce alla sua forte fascinazione per il design della moda, l’heritage delle sue radici in terra cinese che negli abiti si contamina col bagaglio di conoscenze sartoriali acquisite al Politecnico di Milano; la disciplina rigorosa che compie nel praticare, proteggere e promuovere la ricerca all’interno del vasto patrimonio tradizionale cinese del passato -attraverso il Centennial Fashion Museum, un museo nel quale immergersi nella comprensione dell’origine e dello sviluppo in 100 anni del costume cinese- che s’amplifica con le iniziative che allestisce -attraverso la Hui Foundation- per costruire punti d’esplorazione e ponti d’integrazione tra le culture artistiche e sociali, tra il pregio delle manifatture artigianali antiche da tutelare e l’innovazione da sviluppare; la necessità di divulgare la conoscenza dell’Oriente classico, profondo, rigoroso e suggestivo allacciandola all’estetica indossata insieme ai valori vissuti nell’Occidente attuale. Tutto filtrato attraverso una visione lucidamente internazionale.
Per HUI la moda funziona dunque come un linguaggio d’espressione e uno strumento di comprensione, e, come fosse un gioco di scatole cinesi, appunto, la collezione s/s 2022, che ha sfilato alla MFW entrando per la prima volta nel calendario ufficiale della Camera della Moda, omaggia a sua volta la forza sorprendente di un altro linguaggio, nato per salvaguardare la vita attraverso proprio l’espressione e la comprensione, ma a lungo rimasto celato dalle pieghe silenti e misteriose della storia: il Nü Shu.
Ecco da dove provengono quei particolari segni impressi, applicati e ricamati sulle superfici dei capi, che ad uno sguardo rapido e noncurante apparirebbero come un mero motivo decorativo sospeso sul confine folkloristico: invece sono uno splendido invito al viaggio di conoscenza dentro una pagina di storia cinese così antica che le origini trattengono ancora alcune sfumature d’ignoto, così intensa, intima e potente che il valore ancora risuona, e dovrebbe continuare a risuonare, in modo universale nella società attuale.

HUI s/s 22: nell’incontro tra sartorialità occidentale ed heritage cinese c’è l’omaggio al Nü Shu, la voce segreta della femminilità oppressa

Nü Shu è il nome del linguaggio nato nella segretezza e praticato nel mistero: è opera delle donne Yao che abitavano fisicamente la regione isolata dell’Hunan, nella prefettura di Jiang Yong, zona montagnosa del Sud-Ovest del paese, e che abitavano socialmente l’inferiorità di status che le relegava all’asservimento della soggiogante società maschile patriarcale che le voleva prive di scolarizzazione, prive di educazione, prive di muoversi fasciando i loro piedi. Graficamente è un sistema di scrittura sillabico, con la sua propria struttura grammaticale, la sua pronuncia e il suo vocabolario: una lingua vera e propria inventata dalle donne e completamente ignorata dagli uomini, che la credevano un mero decoro. Pragmaticamente, infatti, i grafismi, così diversi dagli ideogrammi cinesi ufficiali, venivano scritti su pezze di carta o stoffa, usati come note per comporre poemi che poi venivano cantati durante i mestieri femminili, come il ricamo. L’essenza di quel segreto racchiudeva il linguaggio della libertà: attraverso il Nü Shu le donne cinesi componevano le storie delle proprie vite ed emozioni, raccontavano se stesse, tessevano amicizie di supporto e sorellanza con altre donne, preservavano il loro potere, la creatività, la tenacia e la vitalità, tramandavano di generazione in generazione la loro battaglia per l’equità e per la liberazione dall’imprigionamento fisico, emotivo, umano.
Allora il Nü Shu era lo strumento che innalzava la voce delle donne dalla bassezza oppressiva della chiusura nella quale venivano segregate.
Oggi il Nü Shu torna a parlare attraverso la collezione s/s 22 di HUI: allaccia come un filo rosso ogni creazione, si posa sugli abiti fluidi in chiffon e si legge sui volumi dell’organza liquida, assume dimensioni di grande decorazione stagliandosi come una colorata grafica pop, oppure diviene minuto e prezioso fondendosi ai ricami floreali. Dialoga con familiarità assieme allo stile che rievoca gli stilemi orientali, come i colli alla coreana, i tagli geometrici, i kimono preziosi; conversa amabilmente con le forme over occidentali, i tasconi dei cargo, i blazer snelli; s’immerge nel colore per farsi notare nel luccichio delle spalmature metalliche argento e viola dei completi cangianti.
Ci racconta, in coro agli abiti, che è sempre il tempo giusto per praticare, divulgare e indossare sulla propria pelle la bellezza del sincretismo.