Abbiamo bisogno di gesti di audacia spontanea ed ottimista, di iniziative che costruiscono su basi concrete quello che il sogno suggerisce all’animo creativo, nonostante le condizioni del mondo intorno possano frenare con il timore del rischio e spingere a rincattucciarsi in attesa di tempi migliori: no! abbiamo bisogno di avvistarli questi tempi migliori, di gustarci ora il piacere di scegliere cosa indossare quando li vivremo, e per farlo abbiamo bisogno di creativi che mettono davvero fiducia nel proprio sogno fino a realizzarlo.
Abbiamo bisogno, quindi, di applaudire Vìen, ovvero Vincenzo Palazzo che ne è il fondatore, e metà nome del brand perché anche metà cuore creativo insieme ad Elena Nitti, che è la seconda metà del nome del brand ed anche la modellista: perché in questo 2021 appena iniziato con lo sguardo rivolto verso la speranza futura, ma con alle spalle un bagaglio di complessità che ancora pesa, Vìen realizza il sogno e inaugura il debutto della linea maschile con la collezione a/i 21-22!
Coraggio o follia? Entrambi, insieme alla saggezza razionale, come fosse un nuovo esito felice della formula della perfetta imperfezione che nutre lo spirito di Vìen sin dall’esordio, che ad essere esatti è assai recente dato che il brand è entrato nel fashion world nemmeno quattro anni fa: ma ad essere corretti risale ad un tempo immemore quanto il desiderio bruciante di creare abiti che Vincenzo custodiva dall’infanzia a Putignano, nella famiglia in cui il mestiere della sartoria era di casa, e nel paese in cui la manifattura eccellente dell’abbigliamento è ancora un fiore all’occhiello del Made in Italy, ed ora, ça va sans dire, anche luogo della produzione delle sue creazioni.
In Vien, dunque, non ci sono stratagemmi trendy che saziano i volubili appetiti fashion con i capricci stilosi del momento, tutt’altro!
Negli abiti Vìen c’è la determinazione appassionata, entusiasta e consapevole di Vincenzo Palazzo di esprimere la sua visione: che ha la bellezza nelle sue innumerevoli forme a fargli da bussola, la schiettezza punk a ribellarsi al giogo delle costrizioni anestetiche sociali a mantenere salda la coerenza, l’amore folle per la moda e altrettanta passione per la musica, che prima di Vìen è stata la protagonista della sua professione, come fonte d’energia, la curiosità mai stanca di posare l’osservazione sul mondo esterno ed interiore come motore d’ispirazione.
Accade così che gli abiti Vìen nascono con un messaggio prezioso, salvifico e a loro modo sovversivo, da consegnarci: riprendiamoci il valore della personalità. Quella bella abitudine a vestirci per esprimerci davvero, per raccontare attraverso lo stile chi siamo innanzitutto a noi e poi al mondo che abitiamo, con la libertà della sincerità. Riprendiamoci il gusto di vestire la nostra personalità, attitudine che si è persa di questi tempi così tecnologici in cui finiamo per vivere nel sottovuoto di schermi piatti e a comunicarci su social più rapidi di un respiro.
Gli abiti Vien portano dunque cuciti addosso gli ingredienti di stile essenziali per concretizzare questo messaggio, codici che appartengono alla cultura del gusto di Vincenzo: c’è la passione grande per il vintage, che diventa anche una linea del tempo su cui far viaggiare l’ispirazione per ricercare la sartorialità classica del passato, prenderne gli elementi più intriganti, custodirne la raffinatezza impeccabile ma scioglierne l’attitude ingessata con il loro opposto contemporaneo, lo streetwear. C’è l’accuratezza profondissima nella costruzione dei capi in ogni sfumatura di dettaglio, ed insieme la scioltezza di lasciare aperti i confini fra i generi nonostante le etichette. E c’è, innanzitutto, il caposaldo dello stile e del mindset in Vien: i giochi di contrasti che creano spazi di espressione libera.
Vien a/i 21-22 debutta con l’uomo: un ibrido tra sartoria classica e sportswear, giochi di contrasti che creano spazi di espressione libera
Or dunque, la collezione maschile a/i 2021-22 tien saldi questi codici e li applica ad un’ispirazione che nasce da un altro motivo di passione di Vincenzo: la corsa, che a sua volta apre l’osservazione sul concetto del movimento, lo applica all’amata sartorialità classica maschile, e allo stesso tempo all’amata pratica di metterla in discussione infilandoci ad arte elementi lontanissimi per estetica, ma utilissimi per confortevolezza.
Niente streetwear né athleisure, stavolta: la ricerca va dritta nella sportività, e il gioco dei contrasti porta in scena le icone tradizionali ibridate dal guardaroba ginnico. E viceversa: i completi composti dal blazer e pantaloni con la piega inglese, o con la pence anni ’20, nascono formali e performano atletici, attraversando una mutazione graduale che inizia ordinata attraverso l’introduzione di bottoni lungo la gamba ed elastici alla caviglia, la cinghia del borsone che sostituisce la cintura, l’orlo del pantalone che si alza fino al ginocchio a svelare i tattoo.
Poi prosegue determinata con richiami dal passato attraverso la giacca a tre bottoni a sacchetto evocante l’uniforme dei Mod’s dagli anni ’60, e quella con le spalle ampie come si usava negli anni ’80: e con scambi di significati sartoriali, con il bomber lucido che rimpiazza la camicia sotto il gilet, il trench trasparente che svela il competo scuro sotto, la cravatta diventata rifrangente, il cappuccio insinuatosi al posto dell’ei fu collo di camicia, e infine sublima nei capispalla che man mano sciolgono l’appiombo impeccabile gonfiandosi del volume dei piumini tecnici.
Il gioco dei contrasti non accadrebbe senza la padronanza di Vincenzo per la manipolazione dei volumi e la sua dedizione sofisticata per i materiali: tessuti italiani e giapponesi nati contemporanei ma concepiti con richiami sartoriali al passato, come la tasmania con la mano fluida del jersey.
E il lancio tra coraggio e follia non sarebbe completo senza un’ulteriore iniziativa entusiasta: insieme agli abiti nasce anche la capsule di borse da viaggio, che sembra essere appartenuta al nonno e reinterpretata dal nipote contemporaneo, libero di muoversi col beautycase a mano, la weekender morbida, il maxi zaino zippato e il porta abiti, da abbinare all’abito classico, o di infilarcelo dentro per portarselo al seguito.
Silvia Scorcella
Fashion and culture Writer Freelance, marchigiana d’origine e globetrotter d’adozione.
Ha intrecciato un percorso eterogeneo che mescola una Laurea in Lingue Straniere Arti e Cultura, un Diploma in Giornalismo di Moda all’Accademia di Costume e Moda di Roma e una Laurea Specialistica in Moda.
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