Quasi per il gusto di un paradosso dal sapore esistenziale, in questo presente storico in cui ogni giorno, da mesi, ci esercitiamo a mantenere le dovute distanze per questioni serissime di sicurezza collettiva, nella nostra individualità ci ritroviamo, invece, che l’unica pratica di vicinanza completa concessa alla quale possiamo dedicarci nella scioltezza da vincoli, è forse quella alla quale abbiamo riservato proprio una distanza di sicurezza, intima e silenziosa: perché si tratta della relazione forse più complessa, insidiosa, ma al contempo la più affascinante e generosa. Ovvero, la relazione con la nostra identità: l’essenza che custodiamo dentro, e che raccontiamo molto attraverso gli abiti con cui scegliamo di mostrarci fuori.
Intanto, quasi per il gusto di una sincronicità dall’intento complice, la moda che tutto osserva, assimila e interpreta con equilibrio -si spera- tra guizzi di creatività autentica e necessità d’affari, si mette in ascolto: come se drizzasse l’orecchio per cogliere anche il minimo sussurro della riflessione che scorre nella profondità dei nostri dialoghi interiori.
Riflessione che al contempo, e da tempo, si fa sempre più sonora anche nelle geografia sociale esteriore generale: territori analogici e digitali, dove si porta avanti la sensibilizzazione accogliente e determinata a dimostrare l’inutilità della gabbia dei generi alla luce della naturalezza della fluidità, a togliere il potere alle etichette sociali, per restituire la libertà legittima all’identità di rivelarsi, e di conseguenza abbigliarsi.

Una dimostrazione felice di quest’empatia liberatoria che accade nella moda è la collezione a/i 2021-22 di Miguel Vieira andata in scena, digitale ça va sans dire, durante l’appena trascorsa Milano Fashion Week dedicata allo stile maschile: DNA.
Un titolo che è una vera dichiarazione d’intenti: tre lettere, una parola che a pronunciarla ha la brevità di un battito di ciglia, ma che nella sostanza ha tutta l’immensità dei segreti dell’esistenza. Insomma, Miguel Vieira fa sfilare sulla passerella una collezione che ha nel cuore del significato un valore che ha sempre praticato: la libertà conquistata di essere fedele a se stessi.
È la sua lunga storia di successo a provarlo: Miguel Vieira è parte integrante e presenza iconica della scena fashion portoghese, con una carriera che ha plasmato passo passo dalla fine degli anni ‘80, con fiducia nella formazione stilistica, fedeltà alla passione creativa insieme al gusto per la raffinatezza sartoriale, razionalità imprenditoriale e dedizione alla produzione così locale da non essersi mai scostato dal suo paese d’origine, São João da Madeira. Miguel Vieira è dunque orgogliosamente Made In Portugal e, al contempo, pubblicamente apprezzato sulle passerelle internazionali: ad oggi la sua firma abbraccia la moda, l’eyewear, la gioielleria e la dimensione dell’home design, mentre col suo stile continua a narrare una storia personale dedicata a vestire con rispetto sincero le evoluzioni del gusto collettivo.
La collezione a/i 2021-22, dunque, si presenta come una sublimazione di quest’intenzione: basta già affinare l’orecchio alla colonna sonora che avvolge la sfilata per cogliere la forza del messaggio costruito attraverso il linguaggio dell’abbigliamento in dialogo con gli accessori.

Miguel Vieira a/i 21-22, DNA: il rispetto dell’identità libera è lo scopo dello stile che lascia fluire i generi nella sartorialità maschile

“No need to disguise or to pretend / Don’t misconstrue and don’t misapprehend”, non c’è motivo di nascondersi o di fingere / né di fraintendere, eccole le parole che danzano sulle note di Begin The End dei Placebo, colonna sonora perfetta che rende ancor più eloquente la dichiarazione della collezione a sciogliere l’eleganza nella fluidità dei generi e renderla libera di disinnescare gli stereotipi per allacciare la classicità esatta dei completi sartoriali con cinte in pelle che s’intrecciano intriganti sul petto, infilare i pantaloni eleganti dentro l’apparenza combattiva degli stivaloni, giocare con le silhouette che ora sono costruire e strutturate, ora s’afflosciano nel completo di memoria sportiva, ora diventano geometriche nel giaccone, si gonfiano nelle felpe in finta pelliccia di pecora, si snelliscono nel giacchino casual, e poi si affilano nel blazer serioso sopra il turtle neck, che d’improvviso diviene sensuale sfoggiato sulla pelle nuda.
Quindi, non c’è motivo di nascondere il gusto intenso per i materiali pregiati, tra cui il cachemire e l’alpaca, insieme al piacere voluttuoso per una palette colori degna di un dandy che si veste della sofisticatezza di blu medievale, verde invernale, liquore al caffè marrone, grigio nuvola, caviale nero, tartufo bianco.
Non c’è nulla da fraintendere quando l’uomo ha voglia di impugnare una pochette, abbigliarsi dei bagliori del lurex che scintilla sul nero e blu intensi come stelle in una notte glam, e accessoriarsi dello sfavillio dell’oro degli anelli che gli popolano le dita, dei bijoux che gli decorano il collo e l’orecchio, delle grandi spille a forma d’insetto che gli ingioiellano i baveri del cappotto morbido indossato come fosse una vestaglia rilassata.
Perché, infine, “There’s nothing left, no fortress to defend / Tonight’s the night that we begin the end”, non resta nulla, non c’è una fortezza da difendere, ed è stanotte la notte in cui diamo inizio alla fine: è questo un momento fashion storico in cui la fine della difesa della fortezza degli stereotipi può dare davvero inizio all’opportunità della libertà indossata.