C’è un filo rosso importante, a tratti sorprendente, per certi versi inevitabile, di certo intelligente, che allaccia la moda pensata e presentata dai nomi nuovi che negli ultimi tempi di fashion week digitali oltrepassano la soglia del fashion world: ha a che fare con una scelta comune ma naturalmente declinata in modo differente e spontaneamente personale, una scelta che è al contempo un azzardo e un beneficio salvifico. Ovvero, la necessità di tornare al corpo, di esplorarlo come contenitore di nuove riflessioni, come soggetto di un sentire profondo e collettivamente discusso che si sta rinnovando perché man mano, tra le generazioni più giovani soprattutto, si sta spogliando delle catene dei pregiudizi sociali per scoprirsi diverso da quello plasmato dai vecchi dogmi culturali.
Le direzioni della riflessione di liberazione in corso sono tante, giustamente innumerevoli: qui, intanto, si presenta la felice occasione di immergerci nella visione squisitamente autonoma che anima e modella, nel voluto senso del gioco di parole, la moda sentita, pensata, creata e dedicata, dal giovane Alfredo Cortese col suo brand AC9 alla femminilità e alla sensualità di questa nostra contemporaneità. Una visione che, con la collezione a/i 2021-22 presentata in formato digitale all’appena trascorsa Milano Fashion Week, diviene dichiarazione sempre più ferma, tant’è che basta una parola ad intitolarla: Censored.
L’origine di AC9 è recentissima: il tempo di quattro collezioni compresa quella qui narrata, ovvero il 2019, anno di fondazione di questo che nasce come un progetto di conquista e riconferma della libertà espressiva. Nel nome del marchio ci sono le iniziali, un numero fortunato, e l’intraprendenza di un percorso che dalla laurea in scienze chimiche attraverso la fiducia nella curiosità porta il suo fondatore a formarsi nella fotografia, prima reportistica poi accalappiata dal fascino intenso di quella della moda. L’approdo nel fashion è con le pr, ma l’attrazione per la moda come strumento completo di realizzazione della creatività lo seduce, e lo conduce a dar forma alla sua autentica visione, che arriva anche finalista allo scorso Who’s On Next. L’origine di Alfredo Cortese è siciliana, la maturazione professionale è principalmente milanese: ma è inutile indagare per rintracciare influenze di geografie biografiche nella costruzione del suo stile, sarebbe un’impresa vana dato che anche qui Alfredo Cortese non dichiara nessun confine di appartenenza, per lasciarsi libero di godere le ispirazioni che vengono dal flusso delle esperienze vissute e delle riflessioni estetiche proprie, senza assoggettamento agli archivi dei grandi brand del passato né tentativi di adeguamento coatto ai trend attuali.
Quello che col suo AC9 compie di stagione in stagione è un itinerario di ricerca nella femminilità, che sugli intenti delle prime collezioni ne ha esplorato la sensualità attraverso il gesto delicato ed esatto della sottrazione: la seduzione, nella visione di Alfredo Cortese, è materia di semplicità. Un approccio di semplificazione che è sofisticazione provocante e anche provocatoria: un pensiero che si esprime in costruzioni sartoriali che sfiorano il minimalismo purista (l’ideale di Jill Sander s’intuisce felicemente), ma si arricchiscono di un pregiato valore emotivo, come se mentre vestono, e spogliano, il corpo con precisione geometrica, percorressero con cura erotica la pelle emotiva celata sotto quella che sta sulla superficie epidermica rivelata.
Le addizioni sono calibrate nel tempo, di stagione in stagione si aggiungono modelli, materiali, colori, di poche unità alla volta: all’inizio c’era solo un tessuto, poi son diventati due, poi ancora quattro; lo stesso per i capi, all’inizio le forme provenivano dai pezzi fondanti del guardaroba, il top, la t-shirt, le lunghezze di gonna e abito, poi i riferimenti si ampliano alla felpa, i pantaloni, la camicia; stesso crescendo per i toni della palette, che pur aumentando le tonalità, mantengono sempre salde le poche sfumature affascinanti dei neutri e la determinazione del color block. Vale anche per le calzature: prima le proposte erano indossate a piedi scalzi, per non forzare lo styling e lasciare la libertà di gusto sull’abbinamento da calzarci. Ora son giunte anche le scarpe, insieme alle varie categorie merceologiche che completano l’offerta con l’intimo in tulle, calze, bra e panties destrutturati.: probabile conseguenza, e passaggio evolutivo, dello sviluppo complessivo del brand sotto l’ala protettrice del programma di supporto per designer emergenti inaugurato da Alessandro Dell’Acqua in collaborazione con Tomorrow Ltd durante lo scorso lockdown.
AC9 a/i 2021-22, Censored: Alfredo Cortese crea una dichiarazione sartoriale di sensualità esibita sulla pelle liberata dalla censura
La collezione a/i 2021-22 conclude infatti il periodo di incubazione nel programma di mentorship, ed inaugura una certa intensificazione dell’attenzione rivolta alla sensualità, che qui è in risalita verso la superficie, diretta ad emergere esplicita nell’aspetto degli abiti e nel messaggio condensato nella potenza dell’unica parola che la battezza: Censored. L’immaginario da cui prende vita è simbolico e al contempo dannatamente concreto: si sta come su un palcoscenico durante il momento legittimato dalla metamorfosi illuminata dai riflettori, un’illusione di libertà di essere ed esprimere se stessi lunga un tempo breve quanto l’arrivo di una censura che ancora tristemente esiste e brandisce testarda i suoi dogmi socio-culturali.
Se sussurrare con la purezza estetica a volte non basta, allora che si occupi lo spazio di scena con una crescente opulenza del volume: delle forme e della sostanza tessile. La collezione è una composizione di velature e svelature: le asimmetrie che erano emblematiche del linguaggio di stile iniziale di AC9, esatte e ben piazzate con arguzia architettonica, qui si spostano, non più interne all’abito ma alterne tra i capi, tra le morbidezze così fluide di sete italiane e crêpe de Chine che a volte diventano trasparenze nelle camicie e nei sottili abiti impalpabili fatti di chiffon e piume lievi, e le costruzioni dense di materia tessile e ampiezze, come nelle gonne a ruota in nylon imbottito a effetto couture, nella maglieria lavorata con lana mohair su abiti pencil, maglie over, hot pants e giacche, e negli abiti strutturati appaiati ai boots in tappezzeria tipico tessuto dell’arredamento, denso come lo jacquard e il velluto tecnico.
Quello che prima era un suggerimento a suo modo romantico, qui diventa una dichiarazione a volume esplicito che non procede mai per stratificazioni, bensì in semplificazioni realizzate con gesti sartoriali che portano manifesti anche i pensieri che li guidano. Come accade per le laserate nette che fendono il fondo di gonne, camicie, cappotti e abiti, e li riducono in frange, come facessero a pezzi l’integrità con cui erano nati; come succede alla cintura che non si allaccia più per stringersi, ma viene sezionata e inserita nei capi come motivo di decoro. Come la pelle nuda che viene ancora liberata: dagli oblò appoggiati sui fianchi, dalle finestre aperte sul fronte delle maglie, dalle scollature profonde. E dalla traccia che lascia addosso la censura quando per contestare la naturalezza esibita cerca di nasconderla con la sua striscia, qui reinterpretata dalla micro fascia in mohair che, ad onor del motivo di libertà, riesce a coprire solo una piccolissima parte del seno.
Silvia Scorcella
Fashion and culture Writer Freelance, marchigiana d’origine e globetrotter d’adozione.
Ha intrecciato un percorso eterogeneo che mescola una Laurea in Lingue Straniere Arti e Cultura, un Diploma in Giornalismo di Moda all’Accademia di Costume e Moda di Roma e una Laurea Specialistica in Moda.
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