Sentenzia un antico motto che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” di buone intenzioni di cui è spesso piastrellata la strada che conduce al paradiso della retorica opulenta fuori e sgonfia al suo interno: ma il segreto dell’eredità degli antichi motti imperniati sulla rassegnazione confortevole è trattarli come ottime occasioni per sgretolarne la comoda pigrizia, e costruirci su nuove affermazioni sorrette non solo dalle intenzioni, ma anche e soprattutto dalla coscienza delle dimostrazioni.
Il fashion designer che siam qui a conoscere ne è esempio felice: per Chuks Collins sfilare sotto i bramati riflettori della New York Fashion Week è una conquista, un vanto, a suo modo una benedizione sulla strada del successo, ma è anche un’ottima occasione per continuare a sfidare la morsa stringente delle chiusure di sistema e sociali che ancora soffocano e complicano la libertà d’espressione e d’affermazione delle minoranze, nel suo caso in particolare relative alle origini africane che si leggono sin dal colore della pelle.
E per rafforzare il messaggio che dichiara e dimostra in ogni sfaccettatura della sua moda: creare abiti che mentre vestono il corpo, instillano nell’animo l’importanza fondamentale di vivere liberandosi dai condizionamenti per rivelarsi nella bellezza della propria autenticità.
La collezione s/s 2022 è un condensato della sua intenzione allacciata all’azione, e per intuirlo basta già il nome: “Resurrection”.

Prima d’immergerci nelle creazioni, però, è cosa interessante e giusta incontrare meglio la sua figura che nella moda si dichiara non solo creatore di stile, ma al contempo architetto di creatività che insieme agli abiti contribuisce a rinforzare e diffondere i valori importanti che plasmano lo stile di vita: perché Chuks Collins con la sua moda racconta storie di intrecci di culture, di caparbie aspirazioni d’integrazione e inclusione, di sfide sempre toste per la conquista della libertà d’espressione.
Intenzioni, narrazioni e azioni che custodiscono un filo conduttore saldo e profondo, di cui il principio è immerso nell’autobiografia.
Chuks Collins nasce nel Regno Unito e cresce in Nigeria: l’abbigliamento è per lui questione d’innamoramento sin da bambino, grazie alla nonna di cui rimira il mestiere della sarta, e grazie ad un’immaginazione stilistica che spingeva la fantasia a giocare con la gente vista per strada, immaginando di vestirla in modo del tutto diverso, con nuovi abiti e un nuovo stile di vita. Dalla vita in Nigeria eredita anche la forza con cui le donne della famiglia affrontano i limiti sociali a cui sono esposte, mentre crescendo misura le sue aspirazioni appassionate con i compromessi che non vedono nel fashion design una carriera adeguata ad un maschio. All’inizio asseconda le aspettative altrui formandosi e lavorando nel marketing, ma nel frattempo non tacita il desiderio di diventare stilista, percorrendo una sorta di doppio binario.
La svolta avviene in modo assai brusco, quasi fatale: sembrerebbe il copione di un film, eppure è la vita reale. Mentre è in Nigeria, Chuks Collins è vittima di un grave incidente stradale che causa al suo corpo conseguenze difficilissime, e l’esistenza fa uno strano gioco di coincidenze, facendolo volare a New York non per la fashion week a cui era stato finalmente invitato, ma per un’operazione delicatissima grazie a raccolte fondi con cui era stato supportato. L’esito è del tutto felice: quello della salute del corpo, che riprende, e quello della forza delle intenzioni, che tramutano l’esperienza spaventosa in una preziosa seconda chance di vita.
Così, da quello che era Kholyns Couture, la forma primigenia della sua attività di stilista d’alta moda personalizzata, nasce ufficialmente il brand battezzato col suo stesso nome: perché è con la sua arte di essere, il suo talento di stare al mondo progettando abiti su misura della verità delle persone, che Chuks Collins esercita l’azione di vestire.

Chuks Collins, “Resurrection”: con la sua moda dà voce alla cultura black, con gli abiti svela il grande potere delle piccole trasformazioni

Ecco che quello stesso filo conduttore si dipana e s’infila tra le trame delle creazioni, per tesserne insieme alle forme e alle stoffe il significato importante che cresce e si diffonde nel corso delle collezioni: la collezione s/s 2022 ha, come accennato, un titolo che lì per lì può sembrare persino monumentale, rischiosamente intenso, e invece in “Resurrection” sta raccolta una lezione di vita che inizia dalle piccole cose, e finisce per abbracciare tutti e tutte. L’ispirazione, infatti, non s’aggancia a tradizioni grandiose, ma, di nuovo, ad un’intenzione che diviene intuizione. Nella resurrezione Chuks Collins vede il grande potere delle minuscole trasformazioni che consentono alla natura di rigenerarsi continuamente, e in un gesto d’inversione di direzione, rende quell’osservazione una preziosa riflessione: dentro di noi custodiamo lo stesso potere di ricrearci attraverso infinite possibilità. Possiamo trasformarci, avvolgendoci nel bozzolo che con la forza della sua struttura ci protegge mentre attraversiamo la delicata metamorfosi di nuova bellezza.
Gli abiti che percorrono la passerella con fare altero, fiero, quasi processuale, son costruiti su questa metafora ideale: le costruzioni esatte della couture in cui Chuks Collins eccelle, opere di manipolazione del tessuto che plasma giochi di pieghe, geometrie di tagli, drappeggi sostanziosi, intrecci di maglia e intarsi di corsetteria, stan lì a sorreggere il contrasto suggestivo e la forma avvolgente delle stoffe soffici, fluenti, eteree, abitate da generi maschili e femminili, da corpi di varia taglia, di provenienze da diverse geografie.
Nei dettagli si appigliano le radici, e risuona l’eco delle origini che abbracciano due culture: c’è la Nigeria delle stampe e dei colori caldi e vibranti delle pietre gioiello, c’è la passione per la couture racchiusa nelle decorazioni di perline applicate a mano.
Nel messaggio risuona ancora una volta la buona volontà di continuare a creare la moda per ricreare l’empowerment nell’umanità.