Tentare di definirla non è cosa semplice, anzi potrebbe risultare un’impresa felicemente impossibile: perché le definizioni creano confini e apparenze di certezze rassicuranti nella loro staticità, mentre Gaia Segattini è la dimostrazione umilmente, brillante che è abbattendo confini inutili e vecchie certezze instabili, dopo averli conosciuti meticolosamente sulla pelle, che si libera il flusso dell’evoluzione e si può dare la spinta giusta all’innovazione: quella della creatività allacciata alla verità sul nostro made in Italy, fatto di idee intelligenti e lungimiranti rese concrete dalle mani artigiane sapienti, ma anche dalle persone, tutte allo stesso modo importanti, che compongono l’imprenditoria sana, materialmente ed economicamente, umanamente e collettivamente sostenibile. Lei, Gaia Segattini, è una miscela pazzamente coinvolgente di bravura e passione, spontaneità irresistibile e creatività irrefrenabile, professionalità saggia e sticazzismo salvifico, leggerezza divertente e umanità amorevole: Gaia Segattini Knotwear, il brand che gioca con il nome e l’ironia buffa che le appartengono, è il mondo dove plasma le sue creazioni in maglia e allegria. E dove continua a plasmare il movimento di rinnovamento e rigenerazione dell’artigianato italiano, che fa accadere iniziando dalla rigenerazione dei pensieri e delle emozioni. Il valore del brand e delle creazioni ha le origini ben piantate nella storia della sua fondatrice: che è un puzzle di mille vite, un caleidoscopio di esperienze e personaggi tipo la Factory di Andy Warhol, un collage di intuizioni e rivoluzioni che hanno la semplicità potente del gesto punk, dove il punto di vista classico si rovescia e vien fuori la forza della libertà dalla ristrettezza degli schemi imposti. Anche dalla moda. Attitudine che è già nell’indole di Gaia: “è sempre stata solo una questione di stile: per me la moda è un modo di dimostrare un’appartenenza, dei gusti che vanno al di là dell’abito e comprendono significati legati alla strada, all’arte, alla cultura. Sono un’appassionata di fili conduttori, per me l’abito da solo non ha mai senso mentre lo stile racconta una storia: ti vesti e puoi far finta di essere una persona che non sei, puoi giocare, o dimostrare di essere mille volte te stessa. Ho sempre subito la figaggine più che la bellezza, che viene fuori da un uomo, una donna, un anziano, un bambino: è la cura dell’esteriorità in cui ogni dettaglio, per chi li sa cogliere, definisce meglio quello che sei. Infatti a me piacciono le persone difettose, che hanno particolari strani: sono stata fidanzata con un ragazzo zoppo, il mio primo innamoramento sulla spiaggia era per un ragazzino cieco; mi piace la differenza perché m’incuriosisce, per questo una persona che fa di sé un racconto che va oltre l’abbigliamento e la bellezza m’interessa tantissimo. Quando non implica egocentrismo e vanità, perché questa è l’unica cosa che non sopporto”. Attitudine che mette in pratica già dall’infanzia: quando il divertimento era travestirsi con “le palandrane” trovate dalla mamma e inventarci delle storie, e da bambina essere vestita con capi da maschio ma sempre con gusto, perché in giro c’erano solo quelli da femminuccia troppo frù frù. Prosegue alla scuola di moda a Urbino, che sceglie per assecondare la dote palese della creatività, e a cui accede conquistando l’ammissione con la sua ragione di esser lì “perché ho finito i vestiti nell’armadio”. La semplicità delle intenzioni spalanca la porta alle lezioni con “insegnanti eccezionali che ci hanno aperto la testa con le bombe” tra cui Elio Fiorucci e Anna Piaggi, sublima nella tesi che è una dichiarazione d’amore per la ricerca infilata nei meandri dei linguaggi schietti e alternativi della moda, ovvero sui fili conduttori nel rapporto tra l’abbigliamento da discoteca e ill prȇt-à-porter. Ci sono le feste universitarie: qui l’amore è per il divertimento, ovvio, ma soprattutto per la scelta del dress code, ovviamente pazzo, e l’allestimento delle scenografie, perché sono tutte le fasi di creazione dell’immaginario che a Gaia fanno impazzire. Questo è anche il periodo d’oro di un altro innamoramento sempiterno di Gaia e del suo mondo di stile: le sottoculture. Che ha vissuto completamente: “sono stata una settimana dark, un’estate hip hop, cinque anni ho frequentato la scena Mod d’Italia, poi quella Northern Soul, e ogni volta facendomi riconoscere a palla, sempre divertendomi e mai vivendola come disagio, era un travestimento, un gioco di stile” che s’illumina con l’incontro all’evento-conferenza di Ted Polhemus e le sue letture dei rituali degli stili di strada.
Niente nella vita di Gaia è comodamente lineare, tutto è una sfida fatta di passione e onestà, scelte toste ma sempre coerenti: il primo lavoro arriva appena uscita dall’università, con in mano la consapevolezza di sapere tutto in teoria e niente di pratica, e la responsabilità di metter su la linea d’abbigliamento di un marchio nuovo, iniziativa dei primi imprenditori che diffondevano i brand street famosi in America ma sconosciuti in Italia. Mesi di panico e passione, e fiducia nelle sinergie con i bravi professionisti per onorare la consegna: “ho fatto quello che sapevo fare, una linea che era tra il jeanswear e il clubwear, ho fatto gli ordini dai negozi più importanti e sulla copertina di Sportswear International la modella aveva la mia maglia. Ero contenta, ma ero più contenta che gli altri erano contenti.” Questo è lo spirito che guida Gaia, nel bene e nel male: nel bene di amare il lavoro di stilista di jeanswear e streetwear “dove l’autenticità è la cosa più importante, l’heritage, l’essere se stessi, e non la novità e lo status symbol come nel mondo del prȇt-à-porter fashion”, nel male di scegliere di abbandonare quel mondo, pur essendo diventata senior designer per l’Europa, per rispettare i suoi valori, l’etica del mestiere e del sociale, quando “tutti erano andati a produrre all’estero, anche chi si vantava di essere autentico, stavano assumendo lo stesso modo malato del p-à-p, con mark-up allucinanti e l’idea dello status symbol anche su questo tipo di prodotti che aveva soppiantato la ricerca. Capivo di essere inutile, non potevo dire più niente di mio”. Inizia la crisi, e il cammino sulla strada verso la Gaia Segattini che conosciamo: grazie alla tenacia di impugnare quello che le appartiene, ovvero l’abilità di fiutare i trend da cool hunter prima ancora che ne esistesse l’etichetta. È facendo ricerca che scopre in America la rinascita del bisogno di artigianalità come reazione al digitale, ritorno al contatto con la natura, la famiglia, le cose vere. Erano nicchie che custodivano un movimento importante e Gaia ne scrive online sulle testate di moda mainstream italiane, e soprattutto le pratica con un’esperienza strabiliante e rivelatrice: il mondo del collezionismo di bambole Blythe, i costosissimi vinyl toy della ragazzina dagli occhi grandi e i guardaroba stilosi sartoriali, adorati da adulti creativi internazionali, fotografi, grafici, illustratori, art director. Qui Gaia conosce personaggi che diventano amici cari e antenne vive sui movimenti della creatività, ma non solo: riprende in mano l’uncinetto e diventa una famosissima creatrice di cappellini ispirati alle cuffie da bagno anni ’60 in lana con su una miriade di fiori, dettaglio che tornerà importante. È il tempo fondamentale di Vendetta Uncinetta, il frutto della scelta molto pericolosa di crearsi un lavoro che non esisteva, a 40 anni, con un figlio, incoscienza e consapevolezza insieme, “mi son trovata in prima linea totalmente, per la prima volta in vita mia. Ero talmente sicura delle cose che dicevo e volevo comunicare, della giustizia che volevo andasse fatta”. Ovvero: mettere in circolo la pratica della manualità come avvio a ritrovare la sensibilità per le cose ben fatte e che fanno bene, sempre divertendosi. Un principio semplice che racchiude una spinta potente: tramite workshop giocosi di uncinetto e la conferenza “Handmade Revenge” Gaia divulga il valore prezioso della creatività applicata come la storia del Made in Italy insegna, dal punto di vista creativo ed economico, ma anche del valore della qualità e delle persone. Lo scopo è questo: dimostrare con i workshop che riuscire a realizzare piccole cose con le proprie mani riallaccia la fiducia nell’abilità a svolgere qualsiasi lavoro e a riconoscere la qualità di ogni dettaglio e individuo che compone qualsiasi produzione, in particolare quella artigiana. Su larga scala: la consapevolezza che settore intellettuale, progettuale e manifatturiero hanno la stessa importanza: “tutto questo da un cavolo di uncinetto!” Circa dieci anni d’impegno irrefrenabile nella divulgazione e nella consulenza, sul territorio e nei canali digitali dove è sempre più nota: la spinta alla rinascita del Made in Italy è sempre più forte, ma il richiamo all’amore per l’abbigliamento è sempre più irresistibile. S’affaccia una nuova crisi, la collaborazione di successo con Stefanel nell’ideare vetrine vestite di grandi fiori all’uncinetto dà il colpo di grazia: nel senso buio e luminoso del termine. Quei fiori, infatti, diventeranno il simbolo del capo iconico di Gaia Segattini Knotwear: il magione Bloom.
Gaia Segattini Knotwear: nella storia di Gaia e nelle trame della sua maglieria artigiana c’è la rinascita del Made in Italy innovativo
Raccontata così pare una corsa a perdifiato, fin troppo veloce per rendere la profondità delle riflessioni, la generosità di intuizioni, azioni e collaborazioni con makers e crafters messe in piedi e che su quei piedi hanno camminato fino ad un traguardo importante, che è a sua volta un nuovo punto di partenza: il brand, Gaia Segattini Knotwear nasce nel 2018, ma la sensazione è che sia sempre esistito, perché racchiude e spalanca tutto ciò che fin qui e in avanti fa parte di Gaia e del suo mondo. Anche la sua fondazione è sofferta, perché inizia nel timore di non voler vincolare il successo della vendita alla fama digitale personale, ma di voler creare un progetto ampio, imprenditoriale, territoriale, che porti valore all’economia materiale e sociale di tutti. All’atto pratico lo realizza nell’unico modo che conosce: scegliendo e facendosi scegliere da un’azienda marchigiana come lei, artigiana come lei, con cui condivide l’etica e la voglia di far bene le cose. Un maglificio che lavora con brand pazzeschi, ma che con Gaia Segattini Knotwear realizza un desiderio: mettere la propria expertise eccellente a disposizione della creatività innovativa e di un pubblico che indossa davvero quello che compra, perché ogni modello è fatto su misura dei suoi gusti e necessità. L’esordio è con una ventina di maglioni Bloom che vanno sold-out in venti minuti dall’apertura dello shop online: ansia pura, e lucidità sulla chiave del successo. Perché le creazioni vivono della stessa gioia giocosa e inclusiva di Gaia Segattini: maglie e accessori che conoscono e rispettano l’identità vera delle clienti, che sono le stesse persone che l’hanno supportata negli anni, sono le amiche di vita e le donne più o meno giovani che nel tempo hanno brandito l’uncinetto e hanno capito il suo mondo d’ideali concreti, le stesse persone che acquistano i capi perché somigliano a chi li ha creati, quella Gaia che in un gioco di specchi sinceri somiglia come un’amica a chi la sceglie. Nel dettaglio, i capi son fatti con filati di giacenze eccellenti: per questo le collezioni sono extra-limitate e le combinazioni di colori son sempre uniche, dato che provengono dalla fantasia creativa applicata alla disponibilità della materia prima. Il fit è oversize, le forme son studiate in ogni minuzia di confortevolezza, il divertimento assoluto guida il resto delle scelte di pattern, scritte e colori gioiosi. Vi basti sapere che i Bloom, fatti in lana Shetland, si presentano così: “tradizionali e contemporanei, antichi e grafici, da vecchia zia eccentrica e da photoshooting d’avanguardia, sono nella loro semplicità non banale tutto il riaussunto che sono e ho visto in questi anni, tutte le persone che ho incontrato”. Poi ci sono i Friend, i maglioni che sono il conforto di un abbraccio amichevole, le Popeye a righe irresistibili, i Bubble con i bolli giocosi, le giacche Gent studiate per vestire lui e subito dopo essere rubate da lei: e per l’estate arriveranno le giacchine Tokyo e Coco, la canottierina Beauty e la maglia che si chiama Limone, perché ha il ricordo gustoso, e chissà anche l’auspicio, dei primi baci in riva al mare. In futuro Gaia vorrebbe arrivare a creare un total look per esprimere con completezza il suo amore per lo stile: e celebrarlo “con una super sfilata con le Bananarama e cinquanta persone sul palco che ballano, vestite tutte a strati di righe, pois, e scritte! Ahahah: che figata!” Noi non vediamo l’ora!
Silvia Scorcella
Fashion and culture Writer Freelance, marchigiana d’origine e globetrotter d’adozione.
Ha intrecciato un percorso eterogeneo che mescola una Laurea in Lingue Straniere Arti e Cultura, un Diploma in Giornalismo di Moda all’Accademia di Costume e Moda di Roma e una Laurea Specialistica in Moda.
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