Ho conosciuto Matteo, grazie ad una amica comune, ad un paio di edizioni fa di Pitti Uomo a Firenze. Arrivava dall’Inghilterra con una collezione che mi colpì subito, perché dietro l’apparente minimalismo, l’animo quasi genderless, i colori basici, i capi di Matteo Bigliardi non nascondono il sapiente approccio sartoriale, un amore per i tessuti ed i dettagli, ma anche una certa sensualità, che a me ricorda tanto, più che i nomi tutelari dell’estetica pura dei Nineties, Lang a Jil Sander su tutti, il lavoro di Tom Ford. Insomma ho pensato subito che dietro a questi capi ci fosse un bravissimo designer, anche un pizzico naughty. Sicuramente Matteo è uno che ama raccontare, coinvolgerti nel suo mondo, e dalla nostra chiacchierata ho scoperto un percorso simile, il venire da un paese dell’Emilia Romagna, crescere sognando la moda sulle pagine di Vogue e così via. Per tutte queste ragioni Matteo mi sta a cuore e spero tanto vi piaccia, con il suo lavoro e il suo percorso, iniziato a Guastalla e arrivato a Brighton, passando per la Central St. Martins, dove i progetti che ha son davvero tanti. Eccovi la nostra chiacchierata.
Matteo, ci racconti come ti sei avvicinato alla moda?
Quando ero piccolo avevo la passione del disegno, del “cucito e ricamo”… mi ricordo che da bambino facevo dei grembiuli per mia mamma con ritagli di stoffa trovati per casa, tagliavo e cucivo a mano, poi li ricamavo. Crescendo queste passioni, insieme a tante altre influenze ed esperienze, si sono tramutate nella passione per la moda e il design. Se chiudo gli occhi e faccio un salto nel tempo ritorno ai primi anni 90, non ricordo i dettagli precisi, ma a volte mio papà tornava a casa alla domenica con la sua Gazzetta e Vogue Italia, sicuramente lo comprava per mia mamma, ma a lei non le interessava molto (a lei piaceva Burda o Cucina Italiana). Passavo ore, giorni interi a sfogliare le pagine di Vogue e a sognare. Ero stato catturato dal fascino delle fotografie, dalle copertine, dagli abiti, dallo stile di vita che rappresentavano. Da li iniziai a conoscere i vari stilisti e i nomi delle varie modelle.
Mi è rimasto impresso un numero in particolare: Vogue Italia del febbraio 1992, in copertina Isabella Rossellini. Mi ricordo che all’interno c’era Naomi in bianco e nero tribale, in Rifat Ozbek; Christy in Chanel nelle vie di Parigi, Linda con i boccoli rossi fotografata da Ellen Von Unwerth, Karen Mulder e Yasmeen Ghauri in Valentino. Nel 1992 avevo 14 anni.
Sono cresciuto con mia mamma, le scuole medie e superiori sono state esperienze traumatiche, ero sempre preso in giro. Passavo i pomeriggi e i weekend a casa da solo e Vogue era diventato come un amico, avevo trovato rifugio nelle sue pagine e creavo un mondo immaginario intorno a me. Da quando ero bambino disegnavo tantissimo e ispirato da tutto ciò, passavo i miei pomeriggi a disegnare figurini di abiti. Poi scoprii Gianni Versace, mi innamorai del suo mondo e quello di Versus e iniziai a disegnare le supermodels con gli abiti da sera, immaginando di essere uno stilista nell’ufficio stile di Versace. Poi a casa arrivò il fax, che mio padre usava per il suo lavoro di rappresentante, e mandai via fax tutti i disegni che avevo fatto al numero di fax della Gianni Versace! Chissà chi li ha ricevuti e quanto si saranno messi a ridere!
Guarda, non sai quanto la tua storia sia simile alla mia…
Mi stanno venendo in mente alcuni aneddoti interessanti che non ho mai raccontato a nessuno.
Una volta chiamai la Telecom per farmi dare il numero di Versace a Milano, chiamai la boutique per richiedere, facendo finta di essere mia mamma, il catalogo della collezione. Dopo un po’ arrivò a casa il look-book della p/e 1995, quello con protagonista Madonna. Oltre a Versace avevo chiamato anche la boutique di Chanel e mandarono il look-book con Claudia Schiffer in copertina e le borse trapuntate a forma di cuore e le due C! Versace e Chanel erano i miei preferiti! In paese c’era un negozio che vendeva Versace Jeans Couture donna e nel 1995 per il compleanno di mia mamma, con i miei risparmi le comprai un paio di jeans, per l’emozione di poter comperare qualcosa di Versace.
Poi arrivarono Prada e Tom Ford per Gucci, che con il suo minimalismo sexy mi ispirava tantissimo, e allora decisi, di nascosto dai miei, di prendere il treno e andare a Milano per vedere le boutique e gli abiti da vicino.
Mi diplomai in ragioneria, ma la mia passione continuò a crescere e continuavo a disegnare abiti nella mia stanza, sognando un giorno di poter lasciare il paese dove abitavo per andare a lavorare in questo mondo. E il sogno si è realizzato.
Gli studi a Londra, ci racconti questa esperienza?
Era il giugno 2002. Mi iscrissi ad un corso estivo di fashion design alla Central Saint Martins, e i tutors mi spinsero ad iscrivermi al corso di Foundation in Art and Design al London College of Fashion. Era un corso di un anno specializzato in Fashion Design, con lezioni di modellistica e cucito, progetti di ricerca e design, lezioni di life drawing, il tutto per prepare il portfolio necessario per la domanda al College.
È stato un corso molto importante per sperimentare e sviluppare le skills necessarie per il BA. È qui che per sbaglio mi hanno messo nel gruppo di menswear. Io avrei voluto fare donna, ma alla fine decisi di prendere questo sbaglio come challenge. Quando superai le selezioni per la Central Saint Martins ero al settimo cielo. Un’altro sogno si era avverato, pensavo a qualche anno prima quando nella mia camera a Guastalla sognavo di frequentare il college dove avevano studiato Alexander McQueen e John Galliano!
Gli anni del BA all’inizio sono stati “challenging”. Essendo abituato al sistema di istruzione italiano, ho avuto difficoltà a navigare la totale libertà e l’assenza di lezioni della Saint Martins!
L’anno scolastico era diviso a progetti, “White Project”, “Shirt Project”, “Tailoring Project” e via dicendo. Una volta ricevuto il brief, eri libero di fare quello che volevi e tornavi il mese dopo con il portfolio e i capi finiti per il Project Critique. Il BA è durato 3 anni, senza l’anno di stage, e mi sono laureato nel 2006, con un gruppo di menswear molto ridotto visto che la maggioranza erano fuori a fare l’anno di stage. Devo dire che se tornassi indietro farei l’anno di stage, penso che un’esperienza in una casa di moda durante gli studi sia molto importante per vedere come funziona veramente il settore. È un anno di crescita professionale e personale.
E come è stato il master, invece?
L’anno e mezzo del Master è stato come essere sulle montagne russe. Molto impegnativo, Louise Wilson era molto esigente. C’e stata molta differenza tra il corso BA e MA. Louise ci ha insegnato la pressione e la velocità di come si lavora nella moda, le skills che servono per diventare un designer e creare collezioni, l’indipendenza e la fiducia in se stessi e delle proprie scelte creative. Mi sono divertito tantissimo con i compagni di classe, ci si aiutava e spingeva a vicenda, soprattutto dopo le revisioni critiche con Louise!
In quegli anni c’era il supporto dall’Unione Europea. Sono stato molto fortunato e ho frequentato BA e MA senza pagare le tasse universitarie, con il contributo dell’EU.
Quali gli stimoli e il clima?
Ero stimolato molto dalla musica, erano i tempi del NagNagNag, al Kashpoint, The Cock e i Süd Electronic parties. I Süd Electronic parties sono stati molto importanti, per via della musica che suonavano ed è tramite questi parties e il college che ho conosciuto amici carissimi, con cui sono ancora oggi in stretto contatto. La settimana si passava al college e il weekend si usciva a ballare agli squat parties in warehouse abbandonate di Hackney e Tottenham! Vivere a Londra era molto diverso che vivere a Guastalla! Ho tanta gratitudine per aver potuto fare questa esperienza di vita. Il clima nel vero senso della parola è stato orribile, ma cosi non mi è venuto a mancare il sole e il cielo azzurro, le estati italiane!
Ci parli della collezione?
Volevo ritornare e sviluppare idee che avevo sperimentato durante i tempi del college. Ritornare al tailoring, ma un tailoring androgino, semplice e lineare per creare una visione di maschile che promuove vulnerabilità e sensibilità, una nuova eleganza basata sulla semplicità e sulla qualità dei tessuti e della manifattura, capi senza tempo. I tessuti sono tutti naturali, inglesi e italiani, lane mohair, cashmere, lana e seta mano organza, cotone organico. Materiali che durano nel tempo, che non sono trendy, è una collezione con nessun riferimento o capo streetwear, a parte pantaloni taglio jeans. Per rinforzare l’idea della semplicità ho scelto colori neutri, toni di bianco, nero e blu, per dare più evidenza ai tagli e ai dettagli tailoring.
Quali le tue icone di riferimento?
Non penso di avere una icona di riferimento maschile, non so come mai, le mie icone di riferimento sono state femminili…la più grande è Shirley Manson.
Quali i tuoi fashion heroes?
Gianni Versace è stato il mio primo grande fashion hero! Poi sono arrivati Miuccia Prada e Tom Ford per Gucci, Alexander McQueen, Rick Owens, Alber Elbaz, Azzedine Alaia, Coco Chanel, Cristobal Balenciaga, Madeleine Vionnet, Madame Gres, Jil Sander, Helmut Lang, Yohji, Raf Simons, Martin Margiela, Ann Demeleumeester, Jean Paul Gualtier, il Gianfranco Ferrè degli anni ’90, Paolo Roversi, Tim Walker, Deborah Turbeville, Richard Avedon, Herb Ritts, Peter Lindbergh, le varie modelle delle varie annate. E non dimentichiamo Karl per Chanel e Fendi!
Originario di Guastalla, ma studi in UK e un presente a Brighton dove spera di continuare a fare il designer, dopo la bella collezione, vista a Milano a settembre. È Matteo Bigliardi.
Chi e cosa ti ispira?
Mi ispirano molto i tessuti, mi piace tantissimo la fase delle campionature tessuto, forse è la mia parte preferita, quella che fa nascere le idee.
Mi ispira la musica, guardare le riviste di epoche passate, nuotare nel mare, essere in mezzo alla natura, ammirare il cielo, i tramonti, mi ispirano gli amici, libri di mitologia, astrologia e spiritualità, filosofie di vita. Al momento sto leggendo un libro di Isis e l’iniziazione delle sacerdotesse e il culto di Isis ai tempi dell’Egitto. Sono ispirato molto alla sera quando faccio il bagno dopo una giornata fredda e piovosa, metto oli essenziali, mi perdo in meditazione e li mi vengono in mente molte idee. Come se l’acqua mi portasse le idee!
A gennaio eri a Milano per partecipare ad una manifestazione, ci racconti?
Ho partecipato al London Show Rooms del British Fashion Council in collaborazione con Camera Moda.
È stata una sorpresa incredibile!! Un pomeriggio prima delle vacanze di Natale ho ricevuto la telefonata di Sara Maino che mi diceva che mi avevano selezionato per partecipare a questo evento durante Milano Moda Uomo! Non ci credevo! È stato un regalo dell’universo! Sono infinitamente grato a Sara e al suo team, a Camera Moda, ad Anna Orsini e al British Fashion Council che mi hanno dato l’opportunità di venire a Milano a presentare la collezione. È stata un’esperienza bellissima e molto positiva! Ho conosciuto tanti altri designers ed è stato un onore essere stato scelto a partecipare con loro! Sono stati 4 giorni indimenticabili, pensavo a quando ero un adolescente e sognavo tutto questo e ora ero a Milano a mostrare la mia collezione!
Il tuo ideale di bellezza?
Una bellezza semplice, ma particolare, un po’ alternativa e strana, una bellezza senza età.
In questi ultimi anni sto apprezzando molto quanta bellezza c’e nella natura, in un cielo stellato, nelle montagne, nel mare.
Che cosa è invece elegante per te?
Penso che il concetto di eleganza sia una caratteristica personale, indipendentemente da quello che indossi. È il modo di fare, l’attitude di una persona, il comportamento, il modo di pensare, che rendono una persona elegante. L’ideale di eleganza che mi insegnò mio padre è quello del completo doppio petto, camicia, cravatta e scarpa stringata, ma secondo me puoi essere elegante anche in un pigiama.
La strada è ancora in grado di influenzare i designer?
Finora e anche ai tempi del college, non ho ancora creato una collezione streetwear o ispirata allo streetwear, anche se personalmente indosso so capi di quel tipo e stile. Forse è per questo che non penso ad usare come ispirazione e riferimento qualcosa a cui sono vicino tutti i giorni. Penso a qualcosa di più lontano, come un ideale, qualcosa a cui vorrei aspirare, quindi in un certo modo il mio punto di partenza è sempre più elegante e formale.
Comunque penso che la strada continuerà ad influenzare i designer. Ormai è entrata troppo nella cultura collettiva. Ci si può allontanare un po’, ma ci saranno sempre riferimenti.
Sono molto curioso di vedere come lo streetwear sarà in 40 anni, quali riferimenti useranno e a quali epoche si ispireranno!
Quali pensi siano gli scenari possibili dopo un periodo così difficile?
Stiamo vivendo momenti importantissimi nell’evoluzione umana e del pianeta. Spero che noi essere umani prendiamo nota di quello che sta succedendo e che riusciamo ad entrare di più in comunicazione con la natura, per capire che siamo circondati da abbondanza, per capire che il sistema capitalistico e la corsa al denaro, l’avidità, la velocità che abbiamo vissuto fino ad ora non sono sostenibili. Dobbiamo rallentare per andare avanti, proteggere l’ecosistema, pensare che siamo tutti uniti su questa Terra che ci ospita in questa frazione di tempo.
Sono ottimista e vorrei pensare che superato il virus, ci sarà un mondo con più giustizia, equilibrio, pace e amore. Credo che questo periodo di distruzione dei sistemi economici, di pausa, possa portare molta creatività e crescita nelle persone, se riusciamo a non farci prendere dalla paura. Chissà, forse non avremo più bisogno delle sfilate o di 8 collezioni all’anno. Spero il consumismo si plachi un po’!
Progetti e sogni per il futuro?
I progetti sono quelli di poter sviluppare la prossima collezione e finire il corso di insegnante di Pilates che sto frequentando. Ho altri piccoli progetti in testa che vorrei prendessero vita: sono appassionato di erbe e oli essenziali. Ho già iniziato a mescolare erbe medicinali per tisane e vorrei provare a lanciare le mie miscele di erbe e di oli.
Sogni per il futuro? Poter continuare a fare il designer, trovare un compratore interessato al mio lavoro e vedere i miei capi indossati per strada.
Sogno di vivere in semplicità e armonia con la natura, di continuare e approfondire le mie pratiche spirituali, capire come posso essere al servizio per il mondo, cosa posso offrire e come posso aiutare. Sono molto fortunato di abitare a Brighton, vicino al mare e vorrei continuare a vivere dove c’e il mare, magari in un’isola Greca.
Sogno di una vita emozionante con esperienze diverse, avventure, conoscere persone e viaggiare, poter visitare i vari continenti, in questo momento vorrei tanto andare nella foresta amazzonica brasiliana. E, infine, poter finalmente conoscere Shirley Manson!
Stefano Guerrini
I consider myself a pop archaeologist, a commited fashion enthusiast and a style searcher. I like to share my passions and my stories. And as someone said way before me: "Don't stop to speak or look around...". Enjoy my vision!
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