“Ogni nuova moda è rifiuto di ereditare, è sovvertimento contro l’oppressione della vecchia moda: la moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato” così scriveva Roland Barthes nelle sue sempiterne pagine di riflessioni critiche sulla moda: quest’intro dal gusto intellettuale non vuole essere affatto un vezzo, bensì è un invito a spalancare la mente, a riscaldare le connessioni, a spolverare il piacere di andare oltre la superficie fashion delle cose per immergerci nelle profondità della caccia ai significati concettuali che la moda porta intessuta nelle sue forme. E posa sui nostri corpi che di quelle forme si vestono.
Roland Barthes è il pensatore favorito di Sara Lopez, che di A Company è la giovane fondatrice: tanto ci basti a farci da guida in questo che non è solo un’approfondimento dell’aggiornamento sull’ultima collezione, ma è anche un itinerario sorprendente alla scoperta della sua dimensione affascinante di pensatrice che guida la sua attività di creatrice di moda.
In breve, ripercorrendo le parole di Roland Barthes: Sara Lopez impugna il diritto naturale di vivere la moda del presente creandola da quella del passato, trasformando l’oppressione in riflessione concettuale e il sovvertimento in smantellamento sartoriale dei pezzi essenziali che compongono l’eredità del guardaroba classico.
Suona complesso, in realtà è assai intrigante, perfettamente contemporaneo … e felicemente sostenibile!
Or dunque, andiam per tappe e sistemiamo i dettagli, perché è lì che si conserva il valore rivelatore. A—Company, sì con il trattino, ché anche i segni grafici hanno la responsabilità del messaggio, nasce ufficialmente nel 2018, ma la sua origine vera ha inizio ben prima, ovvero nella matassa di pensieri e quesiti concettuali che la sua giovane fondatrice, Sara Lopez per l’appunto, stratifica nel suo rapporto con la moda: a lei non basta la coolness, l’appeal fashion, Sara è attratta dalla dimensione fluida dello spazio surreale in cui accadono le relazioni tra il corpo e l’abito che indossa. Come fosse una danza post-moderna, altra sua passione, Sara indugia con piacere ad osservare, studiare, immaginare i modi in cui sono gli abiti ad accompagnarci nelle esperienze della vita, e ne trae la conclusione che è anche il punto di partenza per il suo brand. Ovvero: gli abiti sono innanzitutto oggetti che mediano il nostro modo di stare e agire nel mondo, ci mettono in relazione con la vita vissuta, e con chi questi abiti li crea per noi, sono lo strumento delle nostre performance sul palcoscenico dell’esistenza e per questo meritano di essere sottoposti ad indagine critica per essere esplorati in ogni minimo meandro estetico e funzionale. Come? Partendo dagli archetipi: cioè dai pezzi essenziali del guardaroba, smantellandoli, e usando quei brandelli per costruire nuove forme da indossare e nuovi pensieri da percepire.
Ecco, A—Company è una sorta di pensatoio, oltre ad essere un giovane brand di successo: qui non esistono barriere di gender, perché anche se l’intenzione è femminile l’attuazione è senza sesso in quanto i capi son approcciabili da tutti; qui non ci sono diktat di tendenza, bensì suggerimenti da completare con l’esperienza personale di chi li indossa.
Qui non c’è produzione massificata: ma c’è la consapevolezza verso la sostenibilità, che inizia dalla scelta di materiali eccellenti e di fornitori che garantiscono tanto la tracciabilità quanto l’ecologia delle prassi di realizzazione. E sublima nella produzione limitata di pezzi: 144 per ogni modello, numero che racchiude la cifra favorita di Sara, il 4, ma che è soprattutto un’invito al consumo coscienzioso dei vestiti, che non vanno accumulati e poi buttati, bensì vanno scelti e mantenuti con desiderio intatto nel tempo. Infine, non ci sono le collezioni, bensì le stagioni: distinte nel nome col numero romano progressivo, e nella sostanza dal singolo capo d’abbigliamento che ne è il punto di partenza intellettuale e materiale.
A Company a/i 20: il brand che esplora i dialoghi tra abiti e corpi, scioglie i confini di gender, smonta i classici e ci monta nuove forme
Quella di nostro interesse, che per gli addetti ai lavori è la collezione a/ 2020, in realtà si chiama Season IV: e ha al suo cuore l’archetipo per eccellenza dei vestiti e del rapporto che tramite il vestito avviene tra noi e la femminilità, ovvero il tubino.
È questa la forma elementare, e tutto il bagaglio storico e sociologico della sua valenza da guardaroba, che Sara prende: e la smantella negli elementi che lo costituiscono, lo decostruisce e con i pezzi che trae compone l’arsenale di forme e significati con cui assembla i pezzi in collezione, che del tubino classico sono una profonda revisione.
Et voilà: il tubino smette di essere un abito e diventa una gonna, il design alla base della sua modellistica diventa l’ispirazione per pattern grafici, o anche per cut-out texturizzati su altri pezzi. Dal concetto di tubino smontato nascono nuovi tubini asimmetrici, derivano completi pantalone e persino i soprabiti variegati, con la parte superiore d’alta sartoria e le variazioni libere delle tasche applicate e gli orli a vivo, che del brand sono i pezzi forti: lì, dove la cultura sartoriale di Sara Lopez conferma la sua preparazione couture sviluppata con la guida delle maestranze provenienti da maison come Mme. Grès, Yves Saint Laurent e Nina Ricci, ai tempi degli studi a Parigi.
La pratica concettuale s’esprime anche tramite i materiali: ci sono quelli che la tradizione affibbia alla femminilità, come i pizzi, la seta e i broccati, che Sara compone insieme a quelli tipicamente maschili come il popeline, la lana, il denim, i tessuti da completo e da cappotto.
Anche la presentazione non è affatto tradizionale, ça va sans dire! Niente sfilata o installazione, bensì una video performance con la famosa regista Eva Evans: il titolo è “A Failed Attempt at Understanding Time”, la sostanza è un video di 30 minuti che indaga la nostra esperienza del tempo attraverso la ripetizione di tre azioni quotidiane. Una lente d’ingrandimento che tramite l’arte performativa prosegue la ricerca felice ed infaticabile di A—Company del senso che allaccia il corpo, lo spazio e gli abiti nel mezzo.
Silvia Scorcella
Fashion and culture Writer Freelance, marchigiana d’origine e globetrotter d’adozione.
Ha intrecciato un percorso eterogeneo che mescola una Laurea in Lingue Straniere Arti e Cultura, un Diploma in Giornalismo di Moda all’Accademia di Costume e Moda di Roma e una Laurea Specialistica in Moda.
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