Clotilde è l’incanto di una miscela sorprendente, accogliente e divertita, di rimandi eccellenti perché spontanei: guardi, tocchi, scopri le creazioni e ti senti subito dentro la fantasia calviniana dove ci piove dentro, ci riconosci l’elogio della semplicità creativa intelligente perché giocosa di Munari, ci percepisci la curiosità pirandelliana d’infilarsi nella molteplicità della realtà per cercarci la propria identità, trovarla, vestirla e farla vivere oltre lo strappo del cielo. Non di carta, ma rigorosamente di stoffa italiana: cucita con mani artigiane, mente innamorata delle arti, immaginazione spalancata e cuore sostenibile!
Clotilde è una, ma ne racchiude due: Silvia Bartolini e Costanza Turchi, che di Clotilde son fondatrici, imprenditrici virtuose e anime creative appassionate da circa vent’anni.
Clotilde è una casa sartoriale situata in un luogo altrettanto d’incanto immerso nella serenità campagnola toscana nei pressi di Pistoia: una casa nient’affatto di moda, proprio come affermava la saggezza divertita di Bruno Munari “niente passa tanto di moda come la moda”. Ed infatti le loro creazioni nascono per restare nel tempo: “indemodabili”, che nel lessico clotildiano significa abiti ideati e realizzati per essere mantenuti senza curarsi dei trend, perché fatti con consapevolezza e indossati sì col corpo, ma anche con le emozioni. Dopotutto, la bellezza non ha scadenza: soprattutto quella di abiti che insieme alla propria storia sanno raccontare anche l’identità di chi li sceglie.

Con Clotilde infatti, Silvia e Costanza danno vita a creazioni che solleticano la meraviglia: capi che mutano nella forma, assumono nuove identità, stupiscono la mente e il gusto con trasformazioni nell’aspetto e nelle funzioni. Ingegneria di design? Niente di così intellettualistico, piuttosto l’animo trasformista appartiene al dna di Clotilde sin dagli esordi: “noi siamo nate dal riciclo, dal pescare vecchi abiti di sartoria, vecchi completi da smoking, vecchi capi da bambino, de-costruendoli e riadattandoli per farci delle collezioni da donna. Sono state le basi della sperimentazione, ma anche della conoscenza, perché per noi è stato importante conoscere le finiture, smontare, vedere cosa c’era all’interno di una giacca da uomo, e da lì ripartire. In fondo siamo qui a Prato e veniamo dai cenciaioli, da un posto dove gli stracci erano la materia prima: così, noi abbiamo un processo strano, non partiamo quasi mai dal bozzetto, ma dalla materia prima, oppure da un’idea che nasce senza nessuna regola sartoriale. Partiamo sempre da degli oggetti che poi diventano altro”. Oggetti che diventano abiti che narrano storie.
Agli esordi è seguita una strada di crescita importante: Arisa fa la sua prima apparizione a Sanremo vestita Clotilde, si aggiungono taglie e collezioni anche per i negozi, arrivano collaborazioni con grandi aziende. Una crescita che è un’evoluzione, durante la quale l’essenza è sempre preservata: i pezzi unici che sono “la scatola delle idee” in cui racchiudere le illuminazioni, andare direttamente a srotolare le stoffe e ordinare solo la quantità che basta a realizzare un numero di capi che contrasta la standardizzazione, le sinergie con artisti, le sperimentazioni curiose della materia e delle lavorazioni, la voglia di giocare. Dalla necessità teatrale di vestire tre attori che interpretavano dieci personaggi nasce l’intuizione che oggi è la linea peculiare di Clotilde: i Trasformabiti. Si chiamano Magliabito, Tutabito e Pantagonna e la formula magica ce l’hanno inscritta nel nome: bastano pochi gesti, svelti e mirati, et voilà, quel che era una tuta diventa un abito elegante, e così via. Il segreto è anche nel materiale: una lycra bi-elastica, prodotta da un’azienda italiana certificata, riciclabile e sottile quanto basta per non far pieghe e occupare poco spazio. Al loro fianco, ci sono i capi che sono le basi dell’armadio, tra cui una gonna a tubo, il classico tubino lungo, il leggins, un body: sempre in lycra, essenziali per costruirci su la propria immagine sartoriale. E poi le collezioni, che l’appellativo “a/i” e “p/e” munito di anno ce l’hanno solo per gli addetti ai lavori: per tutte noi s’identificano con “L’Inverno” e “L’Estate”, semplicemente. Come semplice è la naturalezza con cui si possono continuare ad indossare al ritornare della stagione.

Clotilde: elogio divertito del gioco serissimo con la moda sartoriale, la poesia artigiana, la diversità narrata nella collezione a/i 19-20.

Silvia e Costanza non cercano l’ispirazione, è lei che trova loro sempre pronte ad accoglierla entusiaste, perché incessantemente appassionate di tutte le forme che l’arte può assumere, che sia teatro o cinema, pittura o poesia: compresa la vita stessa che si cela discreta nei vicoli delle esistenze nostre, e si rivela un capolavoro inaspettato da narrare.
Accade così anche per la collezione dedicata a “L’inverno” attuale 2019-20: s’intitola “Di-Versi”, e il senso si srotola dalle parole che giocano nel titolo, come le inconfondibili “pose clotildiane” buffamente concettuali giocano nelle immagini. L’ironia è infatti la chiave per continuare a stupirsi: anche per la diversità, che incarnata nel diverso ci fa tanta paura, eppure non ci accorgiamo che il diverso abita metà del nostro corpo che è asimmetrico, è nelle persone più vicine. Diverse si svelano le tre sorelle che indossano gli abiti e posano con spontaneità nello shooting, diversa è la destinazione femminile dei tessuti che nascono maschili in quanto fresco di lana, cachemire e panno di lana; diversa è la forma che mutano gli abiti grazie ai tagli e alle allacciature che li attraversano, diversa è l’impressione che muta in sorpresa quando si scopre che i bottoni sono scovati in vecchie mercerie, e le stringhe all fondo dei pantaloni sono vintage,trovate in uno stock di magazzino.
Secondo Clotilde, la diversità è ovunque e per fortuna, perché per Silvia e Costanza non è fonte di paura bensì di grande arricchimento. E lo è anche per noi: soprattutto in questo momento storico, in cui c’è davvero bisogno di ritrovare la bellezza spontanea. Grazie, Clotilde!