Entrare nel mondo di Giulia Boccafogli regala quella stessa emozione, miscela di fascinazione e stupore, che si prova ad esplorare il Paese delle Meraviglie assieme ad Alice, che cinguetta le sue regole di saggezza fanciullesca con cui allestisce un mondo indimenticabile dove lo straordinario diventa ordinario in nome della fantasia: “se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo, niente sarebbe com’è perché tutto sarebbe come non è, e viceversa! Se una cosa può apparire normale, normale poi non potrebbe essere. I fiori parlerebbero e non ci sarebbe niente di strano, come non ci sarebbe niente di strano nel vedere un coniglio bianco con un panciotto e l’orologio!”
Così Giulia Boccafogli, con la caparbietà appassionata di giovane creativa plasma le sue regole d’artigiana indipendente e ci allestisce il prezioso mondo inconfondibile che porta il suo nome: un mondo come piace a lei, certo, ma anche a chi del mondo del gioiello contemporaneo sa amare l’originalità della sperimentazione libera da indossare.
Qui i contrasti, che ai più appaiono come contraddizioni, Giulia li sottrae da assurdi pregiudizi e li celebra con le creazioni: nei suoi gioielli, infatti, accade che la pelle da materia ordinaria diventa pregiata come fosse oro, gli scarti non sono affatto rifiuti di bruttezza, bensì tracce lussuose di lavorazioni d’eccellenza, i limiti si rivelano un tesoro inesauribile di opportunità, le imperfezioni diventano scrigni di bellezza da cui estrarre l’unicità, le collezioni rifiutano la data e l’oblio frettoloso della stagionalità, perché nascono come capitoli di storie straordinarie da continuare a narrare.
Accade anche che i fiori, no non parlano, ma sbocciano nella magia di un giardino notturno. E che no, nessun coniglio bianco saltella col panciotto: ma non c’è niente di strano nell’incontrare uccelli dal piumaggio rigoglioso che si trasformano in monili densi di nero assoluto e sublime.
Mentre quelli che da fuori mostrano l’apparenza preziosa di gioielli, dentro custodiscono l’essenza personalissima di “giulielli”.

Ovvero di gioielli davvero unici, perché nati delle intenzioni della loro creatrice: della determinazione di Giulia ad applicare il buon senso critico alla ricerca di stile, per scovare quello che ancora non c’è e trovare il modo di dargli una storia e una forma. Questione di egocentrismo artistico? Macché! Tutt’altro: questione di passione aperta, d’istinto ad assecondare la creatività, di tigna a crearci dentro un percorso straordinario nato nell’ordinario senza velleità di celebrità. Bensì con l’umiltà felice dell’autodidatta slegata dagli accademismi, con la ribellione gentile votata all’etica dell’originalità e della sostenibilità.
Niente eccessi di romanticismi! Se le chiedete di retaggi artistici ereditari, vi risponderà con semplicità travolgente che non c’è nessun retaggio da romanzo biografico, piuttosto ≪sono sempre stata molto creativa, poco avvezza agli sport, molto avvezza alle attività intellettuali≫, quindi c’è l’infanzia a bazzicare il negozio di famiglia dove giocava con i ritagli delle scarpe fatte a mano, c’è la nonna sarta, l’adolescenza ad ingannare la lenta noia delle lunghe vacanze estive in montagna infilando collanine di perline e scoprendoci un hobby che le appartiene. C’è la giovinezza a studiare ufficialmente architettura, e a nutrire ufficiosamente la pratica della gioielleria divulgandola col suo blog già battezzato “giulielleria”: in poco arrivano le recensioni entusiaste di riviste di settore, e con loro gli ordini importanti che solleticano l’intenzione, poi divenuta certezza, a voler fare esclusivamente il mestiere che oggi è saldo sulla strada del successo nel gioiello di moda e d’arte.
Se le chiedete se è una pioniera della sostenibilità, vi risponderà con serenità disarmante che ≪il tema del recupero adesso è di attualità bombardante, ma ha radici più profonde e per me è molto naturale, spontaneo, lo faccio da sempre. Da autodidatta con grande voglia di sperimentare, all’inizio usavo le gomme per i pavimenti, gli scarti del linoleum che le ditte vendevano in studio da mio padre; lavoravo anche con il rame di un’azienda che faceva lattine per il tonno. Poi ho capito che se volevo costruirmi una credibilità nel mondo del gioiello contemporaneo avrei dovuto scegliere la mia materia: era fondamentale, e ho scelto la pelle.”
Ecco, la pelle, che di Giulia Boccafogli è la firma irrinunciabile, la materia pura con cui dà corpo e vita ai gioielli: ≪la pelle mi permette di non limitarmi, è un materiale che posso lavorare in maniera infinita. Da subito mi sono posta il problema etico e ho iniziato a lavorare con pelli di scarto per una questione di rispetto: nella dinamica della produzione di lusso massificata non c’è la cultura dello sfruttare tutto il materiale che hai di fronte, se le pelli hanno dei difetti si scartano, se vanno bene si fanno due fustelle al centro della schiena e il resto si butta perché non serve. Però il resto è oro!≫

Giulia Boccafogli: i gioielli in pelle narrano storie incantevoli attraverso forme di complessa meraviglia e maestria artigiana indipendente

La giovinezza c’è ancora, eh! Ma ora la maturità creativa è maggiore, e l’esperienza ha consolidato la padronanza di una tecnica che è squisitamente personale, interdisciplinare, libera: Giulia plasma il suo oro, la pelle, con l’eccellenza artigiana votata ad ottenere la perfezione sin nel dettaglio più sottile, e con la dedizione a creare forme inaspettate, scultoree, potenti, mai minimali eppur così lievi, inedite perché davvero mai viste prima, riconoscibili perché concepite nei viaggi all’interno delle sue passioni. Non c’è regola neanche per l’ispirazione: può sorgere prima la voglia di plasmare una forma nuova, oppure il desiderio di tradurre in gioielli una suggestione, l’importante è che il risultato sia un’armonia di senso tra tecnica e tema. Ecco perché per Giulia ≪le stagioni non esistono: sono stagioni emotive più che reali≫, così le collezioni sono un’antologia sempre valida e attuale di storie incantevoli che man mano si arricchiscono di nuovi capitoli narrati attraverso le creazioni.
Accade così con “Florilegium”, nata dalla passione profonda per la botanica, dal desiderio di applicare il tema floreale alla pelle e la risolutezza a non banalizzarlo, dall’innamoramento inaspettato per le incredibili installazioni del giapponese Azuma Makoto che fa deflagrare foglie e corolle sensuali su sfondi densi di nero, e che nella mente di Giulia fa deflagrare l’idea che disegnerà la collezione: la magia di un giardino notturno, dove i fiori in pelle sono opere d’intricata meraviglia e complessa maestria che sbocciano nel nero intenso della sera, suggestione che evoca la letteratura gotica, altro suo amore culturale. Con “Erzulie” il percorso s’inverte: sorge prima la voglia di creare perle dalla pelle, la voglia formale guida la sperimentazione della tecnica solitamente usata per la carta, e al contempo orienta l’istinto ad affidarsi ad un’altra passione, la storia delle religioni, per scovarci dentro l’ispirazione con cui scrivere la storia della collezione. Et voilà: la scintilla scocca con la fascinazione per la religione vudù haitiana in cui compare Erzulie, la dea dell’amore rappresentata con le perle indosso, perfetta incarnazione dell’animo etnico della collezione, dell’eco tribale che con quelle sfere perfette, a loro modo eccentriche e irriverenti, accompagnano l’immaginazione in terre lontane, fuori o dentro di noi.
Ah, se chiedete a Giulia se aspira a far diventare grande il suo brand, più grande della nicchia che ora le consente di curare ogni collezione, dall’idea al tocco finale di ogni creazione, la risposta è un “no” diretto e consapevole, perché ancorato allo strumento essenziale d’artigiana allacciato alla testa e al cuore: “per me usare le mani è vita!”