La sfilata: croce e delizia di coloro che, professionisti, alla creazione della moda sono così avvezzi da saper ben giocare con l’equilibrio tra l’amore per la creatività e la necessità del commercio, si rivela prova sfidante lungo il cammino di formazione e trampolino importante per il lancio nel futuro dei propri sogni per tutti coloro che, esordienti, il mestiere di stilista lo stanno plasmando nelle aule di scuola. La sfilata sotto i riflettori di Fashion Graduate condensa e promette esattamente così: l’evento milanese, andato in scena negli spazi di BASE Milano lo scorso ottobre 2019, ha accolto gli studenti delle scuole di moda sulla sua passerella esposta al pubblico ed ai professionisti del fashion world, offrendo alla nuova generazione di fashion designer l’occasione pregiata per raccontare il proprio mondo di stile attraverso le creazioni, e per esercitare al contempo quell’abilità silente ma assai rilevante che è la capacità al confronto anche e soprattutto con se stessi. In questo nostro caso, il cuore del racconto è un’istituzione che è una storica mischia eccellente di educazione all’arte e disciplina di progettazione: l’Accademia di Brera.
Gli studenti di fashion design dell’Accademia han dunque portato sulla passerella di Fashion Graduate Italia il frutto della loro educazione a bilanciare il sentimento creativo e la progettazione più razionale, al cospetto di un primo importante traguardo lungo il percorso di professionalizzazione: una collezione breve ma intensa, sviluppata anche grazie alla guida di una nota professionista di valore avvezza alla passerella, che su di loro veglia come docente altrettanto pregevole di fashion design: Francesca Liberatore.
Nessun tema collettivo è stato assegnato ai giovani “stilisti-to be”, bensì son stati liberi d’impugnare la propria libertà espressiva: forti di un’educazione che li ha resi fiduciosi ad immergersi nel proprio immaginario per scovare l’ispirazione, saldi nel valorizzare la sensibilità artistica e assaporare i sentimenti creativi senza senso di colpa alcuno nei confronti della razionalità pratica altrettanto disciplinata, poliglotti nel parlare il linguaggio degli abiti e degli accessori per plasmarne la propria sintassi. Ad ognuno il proprio tema, quello che più han sentito risuonare dentro.
C’è la guerra nella collezione di Jessica Nicodemo: “Rebalancing” è il titolo, quel momento di ritorno all’equilibrio che viene dopo lo sconquasso, quando le forme di prima sono perse, cadute nella morbidezza leggera, ma dalle cicatrici fatte di arricciature e coulisse in punti di scomodità se ne creano di nuove, e gli abiti si tingono di colori che portano simboli, come il lutto del viola e la speranza del verde. Il “Silenzio” abita le creazioni di Wang Yawen, lo stesso che abita le opere di Morandi e la quiete della sua vita pastorale: gli abiti portano i segni della collisione interiore, quando la lotta alla frenesia urbana scompone i pensieri e le vesti, rilassa le forme, ne lascia le tracce di città come nei colletti di camicia, e sceglie la semplicità di un ritorno alla vita con la natura. Cristina Cucinotta e Teresa Cicero sfilano con un monito, “Non sovrapporre”: gli abiti carichi di tinte vivaci affiancati dal bianco e nero assoluti, nel mezzo di un carico insospettabile di decori e grafismi contemporanei raccontano una visione primordiale del dolore, quando il martirio è tormento insopportabile ma anche forza di reagire per innalzare il proprio inno alla vita, quando nonostante ci si possa far male lungo il percorso, il bene è sempre la strada migliore da perseguire. Temi di grande forza, che proseguono nella collezione di Yang Xingzi “Bloom at night”, un eufemismo poetico che nelle creazioni narra la curiosità ad approfondire il mondo della prostituzione: l’ispirazione ascolta il Baudelaure di “Qu’est-ce que l’art? L’art est la prostitucion”, mescola l’abito maschile del 19° secolo con il costume tradizionale della Geisha ed ottiene outfit che in parte appartengono all’acquirente e in parte alla meretrice, una donna che è unica proprietaria del proprio corpo.
Gli studenti in fashion design dell’Accademia Di Brera sfilano a Fashion Graduate Italia, tappa importante verso il sogno di futuri stilisti
Il folclore giapponese aggancia anche l’attenzione di Fabrizio Bennici nella collezione “Seishin no Fuan”, in particolare quello delle Yuki Onna, una classe di yōkai, creature soprannaturali: la loro inquietante essenza spettrale e la sensazione di costrizione e paura che ne scaturisce guidano la rivisitazione delle forme del kimono e dell’obi, la fusciacca che ora risulta dalle extra-maniche annodate, ma la dimensione temporale è quella del “qui e ora” dello streetwear, dunque le maschere tradizionali diventano stampe, i volumi si amplificano e i tessuti si rivelano tecnici, mentre i grandi anelli pendenti risuonano inquietanti a confermare il senso di turbamento. C’è Giappone anche nella collezione di Alessandra Morinelli, ma stavolta è, come dice il titolo, in “Transizione”: ovvero le forme rievocano quelle dell’obi e dello tasukikake, e le contaminano a capi di quieta classicità casual. Come fosse una climax creativa ascendente, Antonio Corposanto parte da un classico senza tempo, la sahariana, ma alza l’intensità dei volumi, delle tinte e delle forme nella sua “Fluo Vision”: tasche e spallotti si ricompongono in nuove forme, i tessuti classici si scontrano con quelli tecnici e il fluo esplode eye-catchiing. A proposito di climax, il titolo della collezione Liu Yikang va dritto al cuore coraggioso dell’esplorazione: “Manicomio” è il titolo, ed è l’ambiente osservato con quello stesso occhio, ricamato come fil rouge nei capi, che lo abita invaso dagli effetti di una mente che ha lasciato gli ormeggi del controllo razionale.
Un importante lancio dal trampolino verso un futuro nel fashion design che Francesca Liberatore accompagna con un pensiero collettivo: “una cosa su cui punto molto è la coerenza di collezione, che significa anche linguaggio e capacità di pensiero oltre che guizzo creativo, e li ho ringraziati per questo, per presentare qualcosa che si svolge e si mostra all’interno dei look con varie sfaccettature, elementi studiati, scelti, scandagliati, che poi si esprimono con individualità e sensibilità attraverso forme colori e attitudini.” Un ringraziamento verso questa nuova generazione di creativi che qui si raddoppia entusiasta e fiducioso.
Silvia Scorcella
Fashion and culture Writer Freelance, marchigiana d’origine e globetrotter d’adozione.
Ha intrecciato un percorso eterogeneo che mescola una Laurea in Lingue Straniere Arti e Cultura, un Diploma in Giornalismo di Moda all’Accademia di Costume e Moda di Roma e una Laurea Specialistica in Moda.
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