Compiere 50 anni e non sentirli! E, dunque, festeggiarli in modo sorprendente: non con un mega party, bensì con un’intensa contaminazione d’arti, orchestrata da altrettanto intensi artisti.
Compiere 50 anni e non dimostrare neanche un cicinìn di patina polverosa delle epoche fashion che si son susseguite con fare sempre più vorticoso: ebbene, questi 50 anni il nostro protagonista li ha collezionati in forma perfettamente smagliante, con una giovinezza mai scalfita. Anzi, si può ben confermare che ha raggiunto questo traguardo felice con una giovinezza di apparenza e di sostanza persino rinvigorita.
Il protagonista in questione è il logo degli Omini di Kappa: quella sagoma che racchiude un uomo e una donna seduti a terra, gambe piegate verso l’alto e schiene appoggiate tra loro. Una sagoma indelebile nel nostro immaginario, applicata su capi che han fatto la storia dello sport e delle controculture, e che han fatto felice anche il guardaroba di generazioni. Un logo che da qualche anno a questa parte ha intensificato il successo col godimento di una nuova vita in chiave squisitamente street fashion.
Ebbene, un compleanno così merita una celebrazione degna di una celebrità, pardon l gioco di parole: e così è stato, scegliendo l’occasione di Art Basel Miami. Nessuna festa glam, bensì un’installazione profondamente inedita ad opera di Vanessa Beecroft.

Ma prima di immergerci nell’opera d’arte, la domanda necessaria sorge spontanea: conoscete la storia del logo degli Omini? Ebbene, a scanso d’equivoci, eccone un sunto essenziale e funzionale.
Come nell’intro delle migliori invenzioni, il segreto svelato è spiazzante: il logo nasce del tutto per caso, e persino da un errore. Era l 1969, era in corso uno shooting di costumi di bagno, la macchina scatta ma il flash s’inceppa, il risultato è un’immagine in controluce di due sagome in posa rilassata, infatti leggenda narra anche che i due modelli fossero in pausa. Scatto rubato e sbagliato: eppure, è la rivelazione! Il mood rievoca la posa da muretto dei giovani del tempo, ha in sé quel senso di libertà che i giovani del tempo stavano rivendicando, e ha una caratteristica che nessun logo aveva: racchiude un maschio e una femmina. Et voilà, il giovane imprenditore Maurizio Vitale trova in quell’immagine il logo per il marchio che aveva creato: Robe di Kappa®, costola di Maglificio Calzificio Torinese, azienda tessile di calze e maglieria intima fondata nel 1916, ha la sua icona.
Son passati 50 anni e quell’icona si unisce ad un’altra icona: Vanessa Beecroft.
Così, come fosse un gioco di ruoli, è stato il festeggiato a fare a noi il vero regalo: una durational performance ad opera di una delle figure più innovative dell’arte contemporanea, presentata ad Art Basel Miami lo scorso 5 dicembre 2019, grazie ad un’altra figura profondamente innovativa dell’arte contemporanea. il curatore britannico Neville Wakefield. Avete presente le contaminazioni inedite tra arte e moda che han coinvolto Cartier, Nike, Playboy, e per un decennio anche Supreme? Eccone la mente.

Kappa celebra i 50 anni dell’iconico logo degli Omini con una speciale performance firmata dall’arte di Vanessa Beecroft a Art Basel Miami

Il tableaux vivant di Vanessa Beecroft ha preso vita, è il caso di dirlo, al Lot 11, nuovo skatepark pubblico di Miami: lì 100 attori, 50 uomini e 50 donne, son stati divisi a coppie e vestiti con capi più neutri possibile per fondersi al meglio con i colori del posto e con la nudità tipica delle opere della Beecroft: inizialmente in piedi, le coppie han poi assunto l’iconica posizione degli Omini nel logo di Kappa, per poi spostarsi nello spazio secondo gli schemi della coreografia di Jacob Jonas The Company, orchestrata dall’artista. Il significato regalato al pubblico è un intenso invito a esplorare le relazioni tra individui in costante evoluzione, ma anche le relazioni di un marchio con il mondo nella sua complessità.§
In più, c’è anche un significato rivelatore, quasi sfidante, che la performance gira alla sua stessa artista, e lo scopriamo attraverso le sue parole: “Il mio lavoro non ha mai mostrato l’interazione fisica tra un uomo e una donna. La mia percezione delle relazioni tra generi è stata inesistente, influenzata dalla mia biografia (una famiglia matriarcale in cui non erano inclusi né padre né fratello) per questo ho usato film come “Zabrieski Point” di Antonioni come ispirazione. Quest’opera tratta il tema dell’incomunicabilità e ci lascia sospesi in un finale aperto. Mentre il mio lavoro è ancora auto-referenziale, basato sullo studio della forma femminile e della sua posizione nel mondo fisico e in quello spirituale, questa performance è per me l’opportunità di esplorare l’interazione tra generi e dare una nuova interpretazione della coppia di oggi”.