Il bello della qualità di frivolezza, spesso controversa, eppur felicemente inconfutabile, che è connaturata alla moda si rivela in occasioni preziose come questa: quando la moda stessa concede a chi la progetta con profonda cognizione di diventare uno strumento potentissimo per diffondere messaggi importantissimi, persino catastrofici, pur mantenendo intatto, e anzi rafforzato, il valore altrettanto indiscutibile del dritto alla bellezza.
L’occasione preziosa in questione è la collezione p/e 2020 ideata, progettata, costruita e firmata con saggezza appassionata da Gilberto Calzolari, andata in scena alla settimana della moda milanese: s’intitola “Dune”, e il messaggio intessuto nelle creazioni va ben oltre l’evocazione suggestiva di romanticherie esotiche immerse in paesaggi desertici da cartolina. Bensì, va dritta al cuore della questione ambientale in cui è invischiata la moda, per chiamare tutti a scendere in campo e prendere parte alla doverosa lotta per la sostenibilità.

Or dunque, è anzitutto necessario sfumare qualsivoglia dubbio sull’autenticità di intenzioni relative a questa parola che oggi corre sulla bocca di tutti: sostenibilità. Ebbene, Gilberto Calzolari ne ha fatto il vessillo coerente e fondamentale del suo stile di moda, allacciato stretto al suo stile di vita, sin dagli esordi con il suo marchio omonimo di demi-couture, giunto dopo una lunga carriera all’interno degli uffici stile tra i più prestigiosi per storia e maestria (ovvero Marni, Alberta Ferretti, Valentino, Miu Miu, Giorgio Armani). La sua dedizione all’eco-sostenibilità è infatti completa e militante: inizia nell’osservazione disincantata della realtà consumistica in cui siamo immersi, attraversa l’analisi della realtà deteriorante del fast fashion da cui siamo accalappiati, e si costruisce nell’ecosistema virtuoso del suo marchio. Qui la ricerca è votata a trovare materiali e lavorazioni del tutto ecosostenibili, dai metodi di riciclo e upcycling alla progettazione di materie innovative ma pur sempre eco-compatibili, coinvolge aziende che condividono la stessa fede e la certificano, percorre una filiera eccellente completamente made in Italy.
E apporta il suo contributo prezioso a cambiare l’industria della moda nel profondo attraverso la bellezza lussuosa: un impegno che gli è valso il prestigioso Franca Sozzani GCC Award for Best Emerging designer al Green Carpet Fashion Award Italia 2018, e il premio come Best Emerging Designer della Monte Carlo Fashion Week.
Nella collezione p/e 2020 il messaggio è dunque già incapsulato nel titolo: le “Dune” sono quelle della desertificazione del nostro pianeta a cui siamo già condannati. Un grido d’allarme a spalancare occhi e coscienza sulla realtà in corso: un inno attraverso creazioni d’eleganza a lottare per un futuro sostenibile. Un appello che si traduce in un gusto tribale, con echi di primitivismo e semplificazioni da minimalismo: la divisa per la battaglia deve essere funzionale, deve portare scolpiti addosso gli intenti militanti, i nemici da combattere ma anche gli strumenti per farlo, pur mantenendo salda la raffinatezza.

Gilberto Calzolari p/e 20: “Dune”, la desertificazione ambientale si combattere con l’eleganza e l’innovazione della moda sostenibile.

A proposito di intreccio tra estetica, confortevolezza e materiali inediti: l’appeal tribale connota l’abito iconico in “tessuto di sughero” ecologico, ricavato da sottilissimi fogli di sughero naturale accoppiato al cotone organico GOTS certificato, e impreziosito da frange con sucristalli Swarovski privi di piombo; mentre l’appeal techno pervade i capi ultra high-tech realizzati con l’upcycling di airbag scoppiati, nati grazie dalla partnership con Volvo Car Italia, realizzati con il materiale sintetico degli airbag già dispiegati che così è nobilitato in chiave couture, come succede anche per le cinture di sicurezza divenute fusciacche. Il piglio militaresco è nei capi safari e nelle uniformi con tasche decorate con mostrine svolazzanti di cotone grezzo; mentre la linearità quasi monastica si alterna alle stratificazioni asimmetriche di gonne strutturate sotto abiti in organza nude.
La narrazione è affidata non solo alle forme, ma anche ai materiali: tra cui il raso derivato da poliestere riciclato, il nuovissimo canvas di cotone biodegradabile che si decompone in un anno, il pizzo macramè optical il cui disegno ricorda i copertoni e richiama la più grande discarica di pneumatici al mondo nel deserto del Kuwait. E ai colori: con una palette che sui toni pallidi della natura desertica si accende di rossi e gialli allarmanti del grido di protesta, fino ad essere cosparsa del nero lucido e del verde cupo dell’inquinamento industriale che contamina le preziose falde acquifere, come fossero pesanti macchie di petrolio che contaminano la leggerezza dell’organza increspata. Le “Dune” di Gilberto Calzolari sono anche quelle del suo amato archivio di riferimenti cinematografici: in questo caso, l’omonimo film cult del visionario David Lynch, e le dune dello scenario post-atomico dell’altrettanto visionario “Mad Max”, dove il fascino steampunk risuona come un monito a non divenire vittime del nostro progresso, bensì a padroneggiarlo virtuosamente. Bravò Gilberto Calzolari!