Ho conosciuto Martina Cella grazie ad AltaRoma, al ruolo che questa manifestazione che si tiene due volte l’anno nella Capitale ha di fashion hub, grazie ad un rapporto costante con Vogue Talents, con il concorso “Who’s On Next?”, ma non solo. Ho avuto modo di vedere la collezione di Martina sulla passerella, ammirandone il senso del colore, i fit adatti ad una ragazza dinamica, piena di vita e di impegni, un po’ ad immagine della designer stessa, ma anche gli input, che da spunti personali o semplici, acquistavano un respiro internazionale, più cosmopolita, come se Martina dal suo ruolo di osservatrice del presente riuscisse, anche dal suo quotidiano locale, a guardare ad esigenze trasversali, globali. Ed é questo che mi ha colpito tanto della designer da subito, come il suo provenire da un piccolo centro, Martina è di Tolmezzo, nel Friuli-Venezia Giulia, da uno di quei bei luoghi di cui l’Italia è ricca, pieni di stimoli, seppur così distanti dalle capitali dello stile, abbia accresciuto la sua sensibilità verso le esigenze di un guardaroba femminile moderno ed al passo coi tempi. Il brand, nato nel 2014, con un iniziale supporto anche della Camera Nazionale della Moda Italiana, grazie al progetto Next Generation, ha già presenziato più volte ad AltaRoma, parte sia di Showcase, sia, appunto, dei brand in passerella, e sono certo che il percorso di Martina avrà sviluppi molto interessanti. L’ho incontrata per farmi raccontare meglio il suo mondo.

Perché la decisione di sfilare ad AltaRoma? Ci racconti la collezione che ha sfilato e da quali input ispirativi nasce?
Ho sempre pensato che AltaRoma fosse un trampolino di lancio per designer emergenti. Quando mi è stato proposto di partecipare con la collezione invernale SURV-LIVE f/w ’19-’20 non stavo nella pelle. Credo che aiutare i giovani designer a farsi conoscere sia un atto di coraggio al giorno d’oggi. Il vero sostegno è la chiave del successo.
SURV-LIVE nasce da un viaggio fatto in Romania nell’estate del 2018. Ero sola, dispersa tra le colline della Transilvania, e così passeggiando tra i boschi mi sono imbattuta in un mercatino di abiti tipici locali. Dopo un attento studio, ho acquistato alcuni pezzi che poi avrei elaborato in pattern e modelli per creare la collezione.
Più tardi avrei scoperto che quel viaggio avrebbe dato inizio ad un altro viaggio, quello mentale e creativo. La collezione racconta di mondi equidistanti che si scontrano e si incontrano. La campagna che abbraccia la città. Due donne che si amano e si odiano. Il rigore dei tailleur che si mescola con la frivolezza dei rasi stampati. I colori accesi degli anni ’90 smorzati dal bianco lucido e dal nero laccato.
A ripensarci credo che sia la collezione che parla più di me, delle mie parti diverse che a volte si scontrano e danno vita al flusso creativo, ai frutti della vita.

A quale donna si rivolge? Quale figura la indosserà?
I capi che ho disegnato si rivolgono ad una donna sicura, forte, che però non ha paura di mostrarsi fragile. Una donna matura, e per matura non intendo parlare di età, ma di modo di vivere. Sa cosa vuole e come ottenerlo. Si lascia conquistare dalle stampe e dai colori ma allo stesso tempo sa portare capi rigorosi sdrammatizzandoli. Insomma una donna che sa ridere con la vita.
L’emozione della sfilata e di essere a Roma in un contesto importante.

C’è un episodio o un momento che vuoi condividere con noi?
Mi ricorderò sempre l’emozione di assistere alla line up prima della sfilata. È in quel momento che ho realizzato che la collezione era finita. Per noi designer, o almeno per me, c’è sempre qualcosa che va cambiato o modificato, c’è sempre un tassello mancante, in quel momento il tempo era scaduto e sono riuscita ad apprezzare pienamente ciò che avevo realizzato.

In generale le tue icone di riferimento quali sono?
Non ho delle icone precise a cui faccio riferimento, mi piace cambiare. Adoro fotografare le donne per strada quando viaggio. Il mio obiettivo è trovare un comune denominatore tra la donna in carriera che passeggia a Manhattan e la signora che vende le uova al mercato, in India. Sono affascinata dalle culture diverse e dalle donne originali, che escono dagli schemi.

Designer emergente, che si é fatta notare sulle passerelle di AltaRoma, Martina Cella con la collezione SURV-LIVE si conferma talento da tener d'occhio.

Cosa ti piace, cosa è in grado di ispirarti e influenzarti?
I viaggi sono la mia fonte d’ispirazione primaria, che siano viaggi fisici o mentali. Adoro scoprire pezzi nuovi di mondo che poi mescolo assieme a quello che già conosco. Pensare che una vita intera non mi basterà per scoprire tutto ciò che c’è al mondo, mi da la motivazione per cogliere al balzo ogni occasione possibile quando si tratta di esplorare un nuovo continente. Ogni collezione nasce da un viaggio, da una storia, da una nuova parte di me che ho conosciuto e che voglio raccontare.

Vivi in provincia e questo mi colpisce, condividendolo, mi dici i pro e i contro del lavorare nella moda, ma lontano dalle capitali dello stile?
Lavorare in provincia non è facile perché sei lontano da tutto ciò che è moda e quando dico moda intendo Milano. Eventi, manifestazioni, sfilate, rassegne stampa e chi più ne ha più ne metta. C’è però un aspetto da tanti sottovalutato ma per me fondamentale. Lavorare in provincia fa in modo che tu sia isolato al punto giusto da non farti troppo influenzare da quello che succede in città. Puoi dare libero sfogo alla tua creatività.

Ha ancora senso il concetto di eleganza e che cosa è elegante per te?
Non credo esista un singolo concetto di eleganza. È elegante chi indossa ciò che rispecchia la propria persona, la propria personalità, chi non vuole sembrare qualcun altro. L’abito non deve essere una maschera, ma anzi deve essere un mezzo con il quale esaltare la propria bellezza interiore. Un concetto semplice, ma non diffuso.

Progetti per il futuro?
In questo ultimo periodo ho deciso di prendermi una pausa per concentrarmi sul mio concetto di moda. Su come vorrei trasformare il brand e fare in modo che diventi un progetto funzionante a tutto tondo. Purtroppo il momento storico ed il mercato non aiutano. I designer emergenti fanno fatica. Ecco io vorrei trovare una soluzione che valga per me, ma che poi possa aiutare anche gli altri, quelli che ci credono e che vogliono fare della propria passione un vero e proprio mestiere. Bisogna rivoluzionare il mercato, spingersi dove gli altri non sono arrivati. E per farlo ci vuole motivazione, esperienza e un bel business plan.